Luca Tadolini: il caso Nuri Ahusain alla luce della guerra di Libia

Luca Tadolini: il caso Nuri Ahusain alla luce della guerra di Libia

Vi ricordate di Nuri Ahusain?[1] È con piacere che pubblico sulla sorte di questo incolpevole patriota libico due interventi inviatimi dal suo avvocato Luca Tadolini, che molti conoscono per alcune interessanti opere storiche[2]. Buona lettura!
Ho conosciuto Ahusain Nuri Shahib Ali. -Noi oggi lo chiameremo solo Nuri- a Reggio Emilia, dove è venuto –in qualità di Presidente della Lega degli studenti libici in Italia– per essere intervistato dalle testate locali e dal prof. Mutti, della Rivista di Geopolitica Eurasia”, sulla situazione della sua Madrepatria, la Libia.
Apro subito una parentesi, che è già anche un argomento di diritto, quello con cui Nuri oggi deve confrontarsi, perché è sottoposto alla più severa misura cautelare della custodia in carcere: qual è la Madrepatria di Nuri?
Nuri nasce nel 1970 ad Ajdabia in Libia.
La Libia di Nuri è la Grande Giamaria Araba Libica Popolare Socialista. Non è uno Stato del passato, perché è la “Parte” di cui al “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Grande Giamaria”. Questo anticipo per affermare la totale legittimità di Nuri rispetto alla sua lealtà alle istituzioni e leggi della sua Nazione.
La seconda volta che Nuri è venuto nella nostra Reggio Emilia è stato in occasione della visita del Ministro degli Esteri Frattini che interveniva ad un’iniziativa del locale Pdl sulla Crisi libica.
Il Ministro Nuri non lo incontrò e neppure riuscì a sentire, in quanto la DIGOS reggiana indicò alcune prescrizioni alla delegazione degli Studenti libici, fra cui quella di non poter entrare nella sala della conferenza e non  poter avvicinarsi al Ministro.
Nuri e gli studenti rimasero quindi in piazza, ad un centinaio di metri, obbedendo educatamente e disciplinatamente alle disposizioni della Questura, con le Bandiere Verdi della sua Patria che garrivano al vento e tanti passanti che si fermavano a chiedere e dare solidarietà. In particolare, molti africani –presenti a Reggio per lavoro- venivano a stringere la mano agli studenti libici.
Nella sala conferenze, il Ministro Frattini –protagonista di tanti incontri di amicizia con la Guida libica Gheddafi- illustrava con voce suadente e pacata il motivo per cui l’Italia concedeva la basi militari per attacchi dell’aviazione contro la Libia, anzi che a agli attacchi in pratica l’Italia partecipava, ecc.. Nelle parole del Ministro la Grande Jamahiria era ormai diventata il famigerato “regime del Colonnello Gheddafi”.
Ovviamente il Ministro non aveva tra le cose da leggere gli articoli dell’accordo di amicizia con la cosìdetta Libia di Gheddafi, l’art. 3 “Non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza”, art. 4 “Non ingerenza negli affari interni”, Art. 5 “Soluzione pacifica delle controversie”, ecc..
Verrebbe da dire che certe cose riusciamo a farle solo noi italiani…
Ma questa non è una storia divertente, non è neanche una storia da teatrino della politica.
Nuri, un suo amico ed uno studente libico di vent’anni, sono detenuti alla Casa Circondariale di Perugia con divieto di incontro, praticamente in isolamento.
Nei loro confronti il Giudice delle Indagini Preliminari di Perugia su richiesta del Pubblico ministero ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di associazione a delinquere, con l’aggravante transnazionale, per essersi associati insieme ad altri cittadini libici per commettere minaccia aggravata, violenza privata, invasione di edifici  aggravato, percosse, lesioni volontarie ed omicidi al fine di condizionare i cittadini libici residenti in Perugia in favore del regime del Colonnello Gheddafi, impedire l’espandersi dell’influenza del Consiglio Nazionale Transitorio del regime di Bengasi riconosciuto dal Governo italiano e allontanare i rappresentanti diplomatici dello spesso Governo transitorio.
Per renderci conto di cosa parliamo, dovete sapere che l’accusa ritiene che gli studenti fossero in grado di impadronirsi dell’ambasciata libica di Roma –successivamente al cambiamento di bandiera verso Bengasi dell’Ambasciatore-, sede diplomatica difesa non solo da Carabinieri e Polizia, ma anche dall’Esercito Italiano.
Sempre secondo l’accusa, il nostro Nuri, laureato in scienze politiche a Tripoli ed iscritto all’università di Pisa, senza armi proprie od improprie, e senza esperienze militari e paramilitari, avrebbe voluto uccidere l’ex ministro degli esteri e ed ex plenipotenziario ONU di Gheddafi, Shalgam, ora schierato con i ribelli, mentre transitava in condizione eccezionale protezione a Roma.
Gli autori di queste vere e proprie “missioni impossibili” –o più semplicemente “reati impossibili”- degne dei migliori spetsnaz della guerra fredda, sarebbero da ricercare, secondo quanto scrive la DIGOS nella notizia di reato, tra “250 studenti di nazionalità libica inviati a metà febbraio a seguito di accordi bilaterali con l’Italia per l’apprendimento della lingua italiana, da effettuarsi attraverso la partecipazione ad un corso presso l’Università per stranieri di Perugia”.
Si fa presente che questi studenti rientrano in un progetto realizzato quando NESSUNO poteva prevedere una guerra civile in Libia.
Effettuate perquisizioni non sono stati trovati esplosivi, strumenti atti allo scasso, armi proprie e improprie, fondi di denaro di provenienza illecita, ovvero somme di denaro adeguate all’organizzazione di attentati terroristici. Nulla.
La gravissima accusa è fondata su intercettazioni telefoniche tra studenti, con discussioni sulla guerra in Libia, e sulle denunce di minaccia di tre o quattro studenti.
Se i gravi indizi di colpevolezza raccolti dalla Digos non impressionano, stupisce –non positivamente- il fazioso schieramento che la stessa Digos opera nella citata notizia di reato: “Le tensioni contemporaneamente scoppiate in tutta la Libia, con la conseguente adozione della risoluzione ONU n. 1973 che impegna i Paesi aderenti, tra cui l’Italia alla salvaguardia della popolazione civile libica nel processo di democratizzazione di quel paese, aggredita anche con mezzi aerei dal regime del colonnello Gheddafi, hanno avuto evidenti ripercussioni anche sulla comunità libica presente in città con il determinarsi di due opposte fazioni, l’una aderente alle istanze di libertà e di democrazia che si rifà al Consiglio Nazionale Transitorio del presidente Jalil, l’altra arroccata sulla difesa intransigente del regime gheddafiano. I sostenitori di quest’ultimo gruppo, particolarmente numerosi in questo centro, hanno avversato da subito la nascita e lo sviluppo di ogni possibile forma di dissidenza  e di protesta contro le brutali e feroci repressioni messe in atto da Gheddafi sulla popolazione civile ed appoggiate anche qui da alcuni studenti connazionali….
La notizia di reato della Digos continua con questo tenore e stupisce perché non è facile imbattersi in documenti di questo tipo dove un ufficio di Polizia mette nero su bianco la propri tesi di politica estera ed aderisce ad una delle parti in conflitto in uno stato straniero. Tant’è -come si è contestato davanti al Tribunale del Riesame- che si è arrivati ad utilizzare quello che il Pm titolare dell’indagine definisce uno dei principali esponenti del Consiglio Nazionale Transitorio in Perugia, come interprete nei riconoscimenti fotografici, nella ricezione di sommarie informazioni, nella stesura di denunce querele, nell’indagine contro i suoi concittadini leali al governo della Jamhiria.
La situazione è però grave.
Il Tribunale del Riesame per due volte ha già respinto le impugnazioni dell’ordinanza cautelare nonostante siano state sollevate con forza le citate contraddizioni e abnormità.
Ancora -al momento in cui scrivo- non è stata depositata alcuna motivazione.
E’ evidente l’eccezionalità di questa indagine, abnorme la figura associativa contestata: non eversione dell’ordine democratico, non terrorismo internazionale, ma un’inedita associazione volta a condizionare il pensiero politico altrui con minacce, omicidi, ecc..
Eccezionale è, evidentemente, la pressione che su questa indagine svolge la situazione internazionale e la guerra in Libia.
Indubbia la coincidenza cronologica tra il cambio di bandiera dell’ambasciata libica e gli arresti degli studenti: conseguenza concreta è stata la tacitazione di una scomoda voce libica che denunciava l’aggressione alla Libia e difendeva le ragioni di Tripoli.
Altrettanto clamoroso è il silenzio o il sussurro sulla guerra in Libia nel dibattito politico e culturale italiano, e questo fa grande merito a Voi che oggi con coraggio siete qui a denunciare questa guerra all’Italia.
In carcere a Perugia vi sono tre patrioti libici. A loro il nostro sostegno e la richiesta di libertà.
Luca Tadolini
Guerra in Libia e dintorni
Negli ultimi dieci anni, la Libia è la quarta nazione aggredita e distrutta da una alleanza militare a guida Usa: nel 1999 la SerbiaKosovo, nel 2001 l’Afghanistan, nel 2003 l’Iraq, nel 2011 la Libia.
Nelle prime 4 Nazioni, ancora oggi, sono presenti forze armate, ovviamente “di pace”, Usa e Nato. In Iraq e specialmente in Afghanistan, è tuttora in corso una guerriglia contro i “liberatori”.
Queste guerre hanno sempre avuto il servile avvallo dell’Onu, e l’appoggio pressoché totale dei mass media del cosiddetto “mondo libero”.
Il bombardamento mediatico dell’opinione pubblica, infatti è stato decisivo quanto quello dell’aviazione delle democrazie occidentali: il movimento “pacifista” mobilitato per il   Vietnam e gli Euromissili, è rimasto ipocritamente silenzioso.
Il devastante potere distruttivo dell’aviazione Nato+Usa è la vera chiave di volta delle “liberazioni”, dall’ex Jugoslavia alla nostra “quarta sponda” libica. Satelliti, droni senza pilota, missili Tomawak, Tornado, Mirage, bombe intelligenti, spianano la strada alla “democrazia”.
Le centinaia di migliaia di morti iracheni, afgani, ed ora libici sono il prezzo da pagare per la “libertà”, oltre alla distruzione delle migliori infrastrutture e stati sociali del Medio Oriente (Iraq e Libia), ed  alla perdita dell’indipendenza e dignità nazionale a favore di governi fantoccio degli stranieri.
A queste guerre è riuscito persino il superamento dello steccato destra/sinistra, caro alla nostra elite politica. La guerra in Kosovo la fece il Democratico Clinton con l’ascaro italiano ex PCI D’Alema, la guerra in Afghanistan ed in Iraq  Bush con il fedele Berlusconi, ma con voti parlamentari bipartisan. Oggi Obama, primo presidente Usa di colore, ma non primo Presidente Usa pacifico, attacca la Libia, affiancato ancora da Berlusconi, incitato dal Presidente ex PCI  Napolitano.
Con la guerra in Libia crolla l’asse Roma-Tripoli-Mosca, creato da Berlusconi,  attraverso l’amicizia personale con Putin e Gheddafi, che garantiva sicurezza, indipendenza energetica,  investimenti libici ed imponenti mercati verso Est: una geopolitica intollerabile per Washington e Londra e per l’invidiosa Francia.
La bandiera del tradimento è rimasta nelle mani  degli italiani, costretti a mo’ di “super Fantozzi” a bombardare ed uccidere gli alleati libici e l’amico Gheddafi con il quale si era appena firmato un trattato di non aggressione.
In questa storia, però, vivono e muoiono anche uomini d’onore, uomini degni del loro nome e della loro bandiera. Sono quei soldati serbi,  iracheni, afgani ed oggi libici che hanno alzato il fucile contro i più potenti eserciti d’Occidente.
Sono loro gli unici combattenti della libertà di questi nostri tempi.
Luca Tadolini
Guido Boiardi
Luigi Fantuzzi
Renato Braccini

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