San Giovanni Crisostomo – OMELIE CONTRO GLI EBREI 7

San Giovanni Crisostomo – OMELIE CONTRO GLI EBREI 7

SETTIMA OMELIA

1 – Siete ormai stanchi di questa lotta ingaggiata contro i Giudei? Oppure volete che trattiamo anche oggi lo stesso argomento? Sebbene molto sia già stato detto, tuttavia credo che siate così interessati da desiderare di ascoltare le medesime cose. Poiché chi non è mai sazio dell’amore per Gesù, così non è mai sazio della lotta intrapresa contro coloro che odiano Cristo.
Inoltre questo sermone è per noi ancora necessario: infatti restano da celebrare le rimanenti feste dei Giudei. Ma, come le loro trombe erano più detestabili di quelle che suonano nei teatri, il loro digiuno più turpe dell’ubriachezza e dell’intemperanza, così i tabernacoli che erigono ora non sono migliori degli alberghi nei quali stanno le prostitute e le suonatrici di flauto. Nessuno accusi questo sermone di essere troppo audace: poiché sarebbe audacia eccessiva e massima iniquità essere d’accordo con loro. Lottano contro Dio e resistono allo Spirito Santo, e allora perché non dobbiamo dare su di loro tale giudizio? Questa festa un tempo era venerabile perché si celebrava in conformità alla legge e al volere di Dio; ora invece non lo è più, ora ha perduto la sua dignità perché si celebra contro la volontà di Dio.
Quelli che violano maggiormente la legge e le antiche solennità sono proprio coloro che sembrano, ora, celebrarle. Veneriamo la legge ben più noi che la lasciamo in riposo come si lascia in riposo un uomo invecchiato, né lo trasciniamo nell’arena quando è incanutito, obbligandolo a combattere in un tempo che non gli conviene più. Abbiamo già dimostrato abbastanza bene che ora non è più il tempo della legge, né dell’antica religione: esaminiamo dunque oggi quello che resta ancora da dire. Per considerare compiuta la nostra opera sarebbe stato sufficiente l’aver dimostrato, con tutti i Profeti, che è una trasgressione alla legge e un’empietà fare oggi celebrazioni fuori di Gerusalemme.
Poiché se fosse vero, come costoro sempre e ovunque vanno ripetendo, che in un futuro riavranno la loro città, non potrebbero tuttavia essere assolti dal delitto di violazione della legge. Noi abbiamo inoltre dimostrato ampiamente che la città non sarà ricostruita e che i Giudei non riavranno l’antico Stato. Dimostrato questo non vi è dubbio su tutto quello che ne consegue: cioè che non può più sussistere il rito dei sacrifici, né quello degli olocausti, né la forza della legge, né alcuna altra parte delle istituzioni.
Anzitutto infatti la legge prescriveva che ogni uomo si presentasse al tempio tre volte all’anno (Es. XXIII, 17). Poiché il tempio è stato distrutto, questo oggi non si può più fare. La legge poi comandava (Lev. XV) che offrissero dei sacrifici sia l’uomo sofferente di perdite seminali o contaminato dalla lebbra, sia la donna che avesse il flusso mestruale o avesse partorito. Neppure questo può essere fatto: manca il luogo, non vi è l’altare. La legge comandava di cantare gli inni sacri, ma abbiamo detto prima che questo è vietato in mancanza del luogo ed è condannato dai profeti, i quali biasimavano coloro che in terra straniera avevano letto la legge e mostrato pubblicamente la fede.
Ma dunque, se la legge non poteva essere letta in terra straniera, come avrebbero potuto osservarla fuori di Gerusalemme? Per questo il profeta dice minacciandoli: “Non visiterò le vostre figlie che si saranno prostituite le vostre nuore che avranno commesso adulterio” (Osea IV, 14). Cosa mai vuol dire con queste parole? Tenterò di renderle più chiare dopo avervi citata la vecchia legge. Che dice dunque la vecchia legge? “Se una moglie avrà peccato contro il marito, se lo avrà disprezzato, se avrà dormito con un altro uomo di nascosto dagli occhi del marito, se non vi saranno stati testimoni o non sarà stata scoperta, oppure se lo spirito della gelosia si impadronisce dell’animo del marito, senza che la moglie sia stata contaminata…” (Num. V, 1214). Il senso di queste parole è il seguente: se la moglie commette adulterio e il marito la sospetta, oppure se il marito la sospetta senza che essa abbia commesso adulterio, e non vi furono testimoni o gravidanza, allora: “Egli la porterà dal sacerdote e offrirà per lei un’oblazione di farina d’orzo” (Num. V, 15 e segg.). Ma perché farina d’orzo e non fior di farina o farina di frumento? Siccome si trattava di un fatto penoso, di un’accusa o di un sospetto malvagio, allora la forma del sacrificio era simile alla disgrazia domestica e il profeta aggiunge: “Non spargere su di lei l’olio e non imporle l’incenso. In seguito – bisogna abbreviare il discorso – il sacerdote la porterà a prendere acqua santa in un vaso di argilla, un po’ di polvere dal pavimento del tabernacolo, che metterà nell’acqua. Il sacerdote farà stare la donna in piedi davanti al Signore e la farà giurare dicendo: “Se non hai peccato, e non hai disonorato tuo marito, quest’acqua di maledizione non ti faccia alcun danno. Ma se hai peccato e ti sei contaminata, se un altro uomo oltre a tuo marito è giaciuto con te, allora che il Signore ti renda oggetto di esecrazione e maledizione in mezzo al tuo popolo“” (Num. V, 15). Che cosa vuol dire: “esecrazione e maledizione”? Che tutti dicano: “Non mi succeda quello che è accaduto a quella donna!”. [E il sacerdote aggiunge] “”Che il Signore rompa il tuo utero, che l’acqua di maledizione entri nel tuo ventre e lo squarci”. E la donna dica: “Così sia, così sia”. [Il sacerdote poi farà bere quell’acqua di maledizione] e accadrà che se ella si è contaminata, l’acqua di maledizione entrerà in lei, romperà il suo ventre e la donna sarà oggetto di esecrazione; se invece non si era contaminata, l’acqua le sarà innocua e potrà generare ancora“.
Dunque poiché i Giudei portati in cattività non potevano adempiere a queste prescrizioni non avendo né tempio, né altare, né tabernacolo, né offerta di sacrifici, il Signore disse minacciandoli: “Non visiterò le vostre figlie quando si saranno prostituite, né le vostre nuore quando si saranno rese colpevoli di adulterio” (Osea IV, 14).
2 – Vedi quale forza trae la legge dal luogo? È evidente da quanto detto che non vi può essere sacerdote se manca la città. Come non può esservi imperatore se non vi è esercito, né porpora, né corona, né quant’altro costituisce la regalità, così non può esservi sacerdote dove il sacrificio è abolito, proibite le oblazioni, profanati gli oggetti sacri, soppresso ogni apparato; poiché il sacerdozio consisteva in tutto questo.
Era sufficiente per noi aver dimostrato, come avevo detto, che non ritorneranno mai né i sacrifici, né gli olocausti, né le altre cerimonie di purificazione, né quanto costituiva l’osservanza giudaica. Era sufficiente dimostrare che il tempio non sarà mai ricostruito; siccome il tempio non esiste più, tutte le altre cose sono abrogate e se qualcosa viene fatto, è un delitto contro la legge.
Dimostrando che mai più il tempio ritroverà la sua antica condizione, si dimostra anche che non ritorneranno all’antico stato neppure i riti e il culto, né vi sarà in avvenire sacerdote e re. Infatti se non era lecito a nessuno del loro popolo, benché plebeo, di servire agli stranieri, a maggior ragione non era lecito al re stesso di essere sottomesso agli stranieri.
Siccome disputiamo e ci sforziamo non soltanto di chiudere la bocca ai Giudei, ma anche di ammaestrarvi nella carità, dimostreremo dunque questa verità in altro modo, cioè che sono finiti per i Giudei i sacrifici e il sacerdozio, sicché mai più ritorneranno alle antiche consuetudini.
Chi lo afferma? Davide, l’ammirevole e grande profeta.
Dichiarando che quel genere di sacrifici sarà abolito e un altro genere di sacrificio sarà introdotto, così parla il profeta: “Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie e non vi è chi ti somigli nei tuoi pensieri. L’ho annunziato e lo dico” (Salmo XXXIX, 6). Vedi la saggezza del profeta. Dopo aver esclamato: “Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie!”, abbagliato dall’ammirazione per l’opera divina, nulla dice di quello che vediamo, del cielo, della terra, del mare, dell’acqua, del fuoco, nulla dice di quegli stupendi prodigi avvenuti in Egitto, né di altri simili miracoli. Ma quali sono i miracoli per Davide ? “Non hai voluto sacrificio oblazione” (idem, 7). Cosa ne dici? È questo lo straordinario e il meraviglioso? No, certamente: egli non vide soltanto queste cose, ma ispirato dal cielo, vide con occhi profetici che Dio avrebbe tratto a sé le nazioni, vide quelli che prima erano dediti al culto degli dei, che adoravano le pietre ed erano più miserabili dei bruti, trovare improvvisamente la luce, conoscere il Signore di tutte le cose e, dopo aver abbandonato l’impuro culto dei demoni, onorare Dio con purezza e senza spargimento di sangue.
Allo stesso tempo il profeta comprese che non solo quei popoli, ma i Giudei dal cuore più semplice sarebbero pervenuti anch’essi alla nostra filosofia, dopo aver abbandonato le vittime, gli olocausti e l’osservanza di tutti gli altri riti materiali. Considerò anche l’ineffabile carità di Dio verso il genere umano, carità che supera ogni intelligenza, e fu preso da ammirazione di fronte a tanti futuri cambiamenti, come Dio avrebbe mirabilmente trasferito tutti questi riti in un ordine superiore, come gli uomini da demoni sarebbero divenuti angeli e si sarebbe introdotto un genere di vita degno del cielo. Tutto questo sarebbe avvenuto dopo l’abolizione del vecchio sacrificio e con un altro sacrificio, col corpo di Cristo: colmo di ammirazione e di stupore esclama: “Tu hai fatto o Signore molte meraviglie“. Per insegnare che questo vaticinio era fatto nella persona di Cristo, dopo aver detto “Non volesti sacrificio e oblazione” soggiunge: “Ma mi hai dato un corpo“. Parla del corpo del Signore, del sacrificio uguale in tutto il mondo, sacrificio che purificò le nostre anime, dissolse i peccati, distrusse la morte e aprì il cielo, mostrandoci molte e grandi speranze; predispose tutti gli altri eventi e Paolo nel vederli esclamò: “Oh profondità delle ricchezze della Sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!” (Rom. XI, 33). Prevedendo tutti questi prodigi Davide diceva: “Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie!”, poi parlando nella persona di Cristo: “Non chiedesti gli olocausti per i peccati” e soggiunse: “Allora dissi: ecco vengo” (Salmo XXXIX, 7-8). “Allora“? Quando? Quando verrà il tempo di una dottrina più perfetta. Poiché ciò che è imperfetto poteva essere insegnato dai suoi ministri, ma ciò che è sublime e che supera la natura umana doveva essere insegnato dall’autore stesso della legge.
Per questo Paolo ha detto: “Un tempo molte volte e in molti modi Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. In questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di ogni cosa e per mezzo del quale ha creato anche i secoli” (Ebr. I, 1-2). E Giovanni ha scritto: “La legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo” (Giov. I, 17). Pertanto questo è l’onore più alto della legge, l’aver preannunciato la natura umana di quel Maestro. Inoltre perché non si creda che Egli sia un Dio recente oppure che abbia portato delle novità senza valore, ascoltate cosa dice: “All’inizio del libro è stato scritto di me” (Salmo XXXIX, 8). Già da molto tempo i profeti predissero la mia venuta e sin dall’inizio dei loro libri fecero conoscere agli uomini la mia divinità.
3 – Così quando Dio al principio della creazione del mondo dice: “Facciamo l’uomo a nostra somiglianza” (Gen. I, 26) ci rivela in modo enigmatico la divinità del Figlio al quale si rivolge. Il salmista dichiara poi che questo modo di vivere [secondo la Nuova Legge] non è contrario a quello precedente, ma voluto da Dio, affinché all’antico sacrificio sia sostituito quello nuovo (si tratta di un miglioramento decisivo e non di opposizione o lotta), là dove dice: “All’inizio del libro è scritto di me” e aggiunge “affinché, o Dio, facessi la tua volontà lo volli e la tua legge sta nel mio cuore” (Salmo XXXIX, 8 segg).
Dopo, esponendo quale fosse la volontà di Dio, tralasciando di parlare di vittime, olocausti, oblazioni, fatiche e sudori, dice: “Ho annunziato la giustizia in una grande assemblea” (idem, 10). Cosa vuol dire “ho annunziato la giustizia in una grande assemblea“? Non disse “ho dato” ma “ho annunziato“. Perché dunque? Perché il genere umano è stato giustificato non per le opere buone, non per le fatiche, non per una ricompensa, ma solo per la grazia. Questo afferma anche Paolo quando dice: “Adesso la giustizia di Dio è stata manifestata indipendentemente dalla legge” (Rom. III, 21). Ora la giustizia di Dio si acquista con la fede in Gesù Cristo e non con il sudore e la fatica. E prendendo a testimonio quel salmo di Davide, l’Apostolo dice: “La legge infatti non essendo che un’ombra dei beni futuri non può mai con i sacrifici che si rinnovano sempre gli stessi ogni anno rendere perfetti coloro che li praticano“. “Ecco perché entrato nel mondo dice: non hai voluto sacrificio e oblazione ma mi hai formato un corpo” (Ebr. I, 1-5; Salmo XXXIX, 7), significando l’ingresso nel mondo del Figlio unigenito per mezzo dell’Incarnazione. Così venne a noi non passando da un luogo ad un altro (infatti come poteva questo convenire a Lui, che è in ogni luogo e che tutto riempie?), ma per mezzo della carne si è manifestato a noi. Siccome la nostra lotta non è soltanto contro i Giudei, ma anche contro i gentili e molti eretici, ebbene vi mostreremo un significato più profondo e cercheremo perché Paolo, che aveva innumerevoli testimonianze che la legge e gli antichi riti dovevano cessare, si sia ricordato soltanto di questa. Né lo fece certamente senza riflettere o per caso, ma con intelletto e sapienza ineffabili. Tutti riconosceranno che avrebbe avuto altre testimonianze se avesse voluto presentarle, alcune più ampie altre più veementi.
Dice Isaia: “Il mio volere non è più con voi. Sono sazio di olocausti di arieti; e non voglio grasso di agnelli e sangue di tori e capri neppure se verrete in mia presenza. Chi mai ha chiesto questo dalle vostre mani? Se mi offrirete fior di farina lo farete invano, il vostro incenso è da me aborrito” (Is. I, 11-13). Altrove: “Non io ti ho adesso chiamato, o Giacobbe, né ho dato pena a te, Israele. Non mi hai glorificato con i sacrifici né mi hai servito con i tuoi doni. Non ti ho importunato per l’incenso, non hai speso denaro per i profumi” (Is. XLIII, 22-23).
E Geremia: “Perché mi offri l’incenso di Saba e la cannella dei lontani paesi? I vostri olocausti non mi hanno dato piacere” (Ger. VI, 20). E ancora: “Mettete insieme i vostri olocausti con tutti gli altri sacrifici e mangiate le carni” (idem VII, 21).
E un altro dei profeti dice: “Allontana da me lo strepito dei tuoi canti, che io non oda la musica dei tuoi strumenti” (Amos V, 23). In altro luogo di nuovo ai Giudei che chiedevano: “Accetterà il Signore gli olocausti se gli darò il mio primogenito a causa della mia empietà, e il frutto del mio ventre per il peccato dell’animo mio?” (Mich. VI, 7). Il profeta li rimprovera con queste parole: “Ti è stato annunziato, o uomo, quello che è bene e che cosa il Signore ti chiede: cioè che tu ami la misericordia e agisca con discernimento e giustizia, e che tu sia pronto a seguire il Signore” (idem 8). Anche Davide così diceva: “Non accetterò vitelli dalla tua casa capri dalle tue greggi” (Salmo XLIX, 9).
Come mai potendo invocare così numerose testimonianze che ci mostrano come Dio respinga quei sacrifici, le cerimonie, i sabati, le solennità giudaiche, Paolo le tralascia tutte e fa menzione soltanto di questa? Non lo ha fatto senza riflettere o per caso, e ne dirò la ragione.
Molti infedeli e anche quei Giudei che sono contro di noi dicono che l’antica religione è caduta in rovina non perché fosse imperfetta, o perché la nuova che si è presentata, cioè la nostra, sia migliore, ma per la malvagità di coloro che offrivano i sacrifici. Pertanto Isaia dice: “Se stenderete le vostre mani distoglierò i miei occhi da voi, se moltiplicherete le preghiere io non vi esaudirò” e per darne subito la ragione aggiunge “le vostre mani infatti sono piene di sangue” (Is. I, 15). E questa non è un’accusa contro i sacrifici, ma una condanna della malvagità degli offerenti. Per questo il Signore non accettò i sacrifici, perché offerti da mani impure. E ancora Davide, dopo aver detto “non accetterò vitelli dalla tua casa capri dalle tue greggi” aggiunse: “Disse Dio al peccatore: perché continui a parlare dei miei precetti e hai sempre in bocca il mio patto? Hai odiato la disciplina e hai gettato dietro di te i miei sermoni. Se vedi un ladro corri da lui, stai dalla parte degli adulteri. La tua bocca abbonda di malvagità e la tua lingua ordiva la frode. Tu siedi a criticare tuo fratello e metti ostacoli contro il figlio di tua madre” (Salmo XLXI, 1620).
Da tutto questo, sostengono, è chiaro che il Signore non respinse i sacrifici in modo assoluto, ma soltanto perché coloro che li offrivano erano adulteri, erano ladri, erano ingannatori dei fratelli. Siccome ciascun profeta, dicono, accusa di malvagità coloro che offrono i sacrifici, in questo senso Davide dice che Dio li respinse.
4 – Questo dicono i nostri avversari, ma Paolo con quella testimonianza infligge loro un grave colpo e costringe al silenzio la loro impudenza.
Volendo infatti dimostrare che Dio ha respinto la religione degli ebrei perché più imperfetta rendendola inefficace, ha preso questa testimonianza nella quale non vi è nessuna accusa contro gli offerenti, ma l’imperfezione della religione è messa a nudo da sé stessa. Il profeta in verità non accusa in nulla i Giudei e parla così semplicemente: “Non hai voluto il sacrificio e l’oblazione ma mi hai formato un corpo. Non hai gradito gli olocausti per i peccati” (Salmo XXXIX, 7).
Paolo parlando di questo dice: “Tolse il primo per stabilire il seguente” (Ebr. X, 9). Infatti, dopo aver detto “non hai voluto il sacrificio e l’oblazione” aggiunse “ma mi hai formato un corpo“, mostrando che un altro sacrificio sarebbe stato introdotto; non diede, in seguito, nessuna speranza che in futuro l’antico sacrificio sarebbe stato ripristinato. Per spiegarlo Paolo scrive: “Con questa oblazione siamo stati santificati per volontà di Cristo” (Ebr. X, 10). “Se infatti il sangue di capri e tori e la cenere di una giovenca sparsa su coloro che sono impuri li santifica, procurando la purità del corpo, quanto più il sangue di Gesù Cristo, il quale per mezzo dello Spirito Santo offrì se stesso quale vittima immacolata a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte?” (Ebr. IX, 13-14).
Da tutto questo è sufficientemente dimostrato che quell’antico sacrificio è stato abolito, che uno nuovo è stato introdotto al suo posto, quindi l’altro non sarà più ripristinato.
Resta ancora quello che noi da qualche tempo tentiamo di dimostrare, cioè che quei riti sacerdotali non sono più e non ritorneranno mai più; lo faremo apertamente in modo più chiaro con le Sacre Scritture, dopo aver premesso qualche considerazione che renderà più evidente quanto diremo.
Abramo tornato dalla Persia generò Isacco; Isacco generò Giacobbe e Giacobbe ebbe dodici figli dai quali ebbero origine le dodici tribù o piuttosto le tredici. Questo perché i due figli di Giuseppe, Efrem e Manasse, divennero capi di due tribù. Siccome ogni tribù portava il nome di un figlio di Giacobbe e vi erano la tribù di Ruben, di Simeone, di Levi, di Giuda, di Neftali, di Gad, di Aser e di Beniamino, così anche i due figli di Giuseppe, dopo di lui, diedero il nome a due tribù: quella di Manasse e quella di Efraim. Di queste tredici tribù, dodici avevano campi e molta abbondanza, tutti coltivavano la terra e si occupavano di tutto quello che è necessario alla vita. La sola tribù di Levi, onorata col sacerdozio, era sgravata da tutti questi lavori, non coltivava i campi né esercitava le arti, né qualsivoglia altro lavoro di tal genere; si occupava soltanto delle funzioni sacerdotali e riceveva da tutto il popolo il vino, le decime di frumento, l’orzo e tutti le davano la decima parte del resto, e questo costituiva per la tribù di Levi il suo provento. Non era permesso che vi fosse un sacerdote proveniente da un’altra tribù. In questa nacque Aronne, appunto dalla tribù di Levi e, per successione, dopo di lui, i discendenti ricevevano il sacerdozio; né vi fu mai un sacerdote tratto dalle altre. Così i leviti ricevevano dalle altre tribù le decime con cui provvedevano alle loro necessità.
Ma prima di Giacobbe, al tempo di Isacco e di Abramo, ben avanti Mosè, quando la legge non era ancora scritta, non ancora istituito il sacerdozio levitico, quando non vi era tabernacolo, né tempio e nessuna divisione in tribù, quando Gerusalemme non esisteva e nessuno tra i Giudei deteneva la sovranità, visse un certo Melchisedech sacerdote dell’Altissimo. Questo Melchisedech era al tempo stesso re e sacerdote: era la figura di Cristo e la Sacra Scrittura lo ricorda espressamente; dopo aver narrato di Abramo che assalì i Persiani e strappò dalle loro mani Lot, figlio di suo fratello, e ritornò carico di bottino, avendo vinti i nemici col suo valore, la Scrittura parla di Melchisedech in questo modo: “E Melchisedech re di Salem offrì pane e vino. Era infatti sacerdote dell’Altissimo e benedisse Abramo dicendo: “Benedetto sii Abramo dall’Altissimo Iddio che creò il cielo e la terra, e benedetto l’Altissimo Iddio che ti diede nelle mani i tuoi nemici“. E Abramo gli dette la decima di tutto quanto aveva” (Gen. XIV, 18-20). Se vi è dunque un profeta che dice: dopo Abramo, dopo quel sacerdozio e quei sacrifici ed oblazioni, sorgerà un altro sacerdote non da quella tribù, ma da un’altra da cui mai è stato creato un sacerdote, non secondo l’ordine di Aronne, ma secondo l’ordine di Melchisedech, allora è chiaro che il vecchio sacerdozio è finito e che un altro nuovo è stato introdotto al suo posto. Poiché se vi fosse stata in futuro la possibilità che il vecchio sacerdozio ritornasse, era necessario dire: secondo l’ordine di Aronne e non secondo l’ordine di Melchisedech. Chi mai dice questo? Quello stesso profeta che ha parlato dei sacrifici e che accennando a Cristo ha detto: “Il Signore ha detto al mio Signore, siedi alla mia destra” (Salmo CIX, 1).
5 – Perché non si supponga che qui si parli di un uomo qualunque, questo non è detto da Isaia, né da Geremia, né da uno qualsiasi che fa profezie, ma da un re, perché ben si comprende che un re non può chiamare “suo signore” un uomo, ma soltanto Dio. Invero se Davide fosse stato una persona qualsiasi, un impudente avrebbe detto che parlava di un uomo, ma poiché egli è un re, non avrebbe potuto chiamare “suo signore” un uomo. Invero se Davide avesse parlato di un uomo qualunque, come avrebbe potuto dire che era seduto alla destra della maestà immensa ed ineffabile? Questo è veramente impossibile.
Dice il salmo: “Disse il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra, finché faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi” (Salmo CIX,: 1-2). E perché non lo si reputasse debole e poco potente dice: “Il dominio nei giorni della tua potenza è con te” (idem, 3), poi esprimendosi ancora più chiaramente aggiunge: “Dal mio seno ti ho generato prima della stella del mattino“. Ma nessun uomo è stato generato prima della stella del mattino.
Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” (idem 4; Ebr. V, 6). Non disse secondo l’ordine di Aronne. Chiedi quindi al giudeo per quale causa se l’antico sacerdozio non era da abrogare, si introduce un nuovo sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech.
Osserva come l’apostolo Paolo arrivato a questo passaggio lo rende più chiaro. Infatti parlando di Cristo dice in un altro punto: “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech“e soggiunge: “Di questo potrei parlare a lungo, ma è difficile da spiegarsi” (Ebr. V, 11); poi dopo aver rimproverato i discepoli (io cercherò di essere breve), Paolo spiega chi era Melchisedech e ne ricorda la storia dicendo: “Melchisedech andò incontro ad Abramo che tornava dall’aver vinto i re e lo benedisse; a lui Abramo dette la decima di tutto” (Ebr. VII, 1-2).
Per spiegare il significato della figura aggiunge in seguito: “Considerate quanto era grande costui al quale il patriarca Abramo versò la decima di tutto quello che aveva” (Ebr VII, 4). Non lo disse senza ragione, ma perché desiderava mostrare che il nostro sacerdozio è di gran lunga superiore a quello degli ebrei.
L’eccellenza è dimostrata dalle stesse figure: infatti Abramo era padre di Isacco, avo di Giacobbe, bisavolo di Levi, essendo Levi figlio di Giacobbe. Con Levi ebbe inizio il sacerdozio presso i Giudei; ora Abramo progenitore dei leviti e dei sacerdoti giudaici, in presenza di Melchisedech che raffigurava il nostro sacerdozio, svolse soltanto il ruolo di laico e questo è chiaro per due ragioni: primo perché Abramo gli dette la decima, ed erano i laici che dovevano dare la decima ai sacerdoti, poi perché Abramo ricevette la benedizione da Melchisedech e infatti sono i laici che ricevono la benedizione dai sacerdoti. Considera di nuovo quanto è grande la superiorità del nostro sacerdozio. Abramo, patriarca dei Giudei e progenitore dei leviti, riceve la benedizione di Melchisedech e gli dà la decima. Ora l’antico Testamento racconta entrambi questi fatti; cioè che Melchisedech benedì Abramo e che da Abramo ricevette la decima (Gen. XIV).
Dopo aver esposto tutto questo Paolo aggiunge: “Vedete quanto grande è costui?”. Chi? “Melchisedech, risponde, a cui Abramo patriarca dei Giudei diede la decima del ricco bottino; i discendenti di Levi che esercitano il sacerdozio hanno diritto di ricevere la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, sebbene usciti dal sangue di Abramo” (Ebr. VII, 4-5).
Così è detto e così è. Paolo spiega ancora: i leviti che presso gli ebrei erano sacerdoti, avevano per legge il diritto di ricevere la decima dagli altri ebrei; sebbene tutti fossero discendenti di Abramo, tanto i leviti quanto il restante popolo, tuttavia i leviti ricevevano la decima dai loro fratelli. Ma Melchisedech in verità non aveva la loro stessa origine: non era, infatti, progenie di Abramo, né apparteneva alla tribù di Levi ma era di altra stirpe, eppure prelevò la decima da Abramo e Abramo gliela versò. Non fece questo soltanto, ma ben altro: benedisse colui che aveva ricevuto le promesse divine, benedisse Abramo. Mi chiedi: che significa questo? Che Abramo era molto inferiore a Melchisedech. Perché? E’ incontestabile che l’inferiore riceve la benedizione dal superiore” (Ebr. VII, 7), cosicché se Abramo progenitore dei leviti non fosse stato inferiore a Melchisedech questi non lo avrebbe mai benedetto, né Abramo gli avrebbe dato la decima.
Volendo poi mostrare che questo è avvenuto per la superiorità di Melchisedech soggiunge: “E per così dire anche lo stesso Levi che adesso riceve le decime, in un certo senso pagò la decima per mezzo di Abramo“. Cosa vuol dire “pagò la decima”? Levi che non era ancora nato pagò la decima attraverso suo padre. “Infatti era ancora nei lombi del padre quando Melchisedech andò incontro ad Abramo“. Perciò Paolo parlando di questo premette: “Per così dire“, poi subito spiega: “Se dunque la perfezione stava nel sacerdozio levitico, infatti sotto di esso il popolo ricevette la legge, che necessità vi era che sorgesse un nuovo ordine, un altro sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech e non secondo l’ordine di Aronne?” (Ebr. VII, 11).
Che significa quello che Paolo dice? Ecco: se tutto nelle istituzioni giudaiche era perfetto, se la legge non era solo l’ombra di beni futuri, ma perfettamente efficace, se non doveva in seguito lasciare il posto ad un’altra, se il precedente sacerdozio doveva cessare e uno nuovo essere introdotto, perché il profeta ha detto: “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech“? (Salmo CIX, 4). Avrebbe dovuto dire: secondo l’ordine di Aronne.
Per questo motivo l’apostolo ha detto: se il sacerdozio levitico era perfetto, che necessità vi era di un altro sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech e non secondo l’ordine di Aronne? Da tutto questo risulta chiaramente che quel sacerdozio è finito, che è stato sostituito da un altro assai migliore e più elevato. Detto questo bisogna anche riconoscere che doveva essere introdotto un nuovo genere di vita, conforme a questo nuovo sacerdozio così come una legge migliore, cioè la nostra.
Questo dichiara Paolo quando dice: “Invero cambiato il sacerdozio anche la legge deve essere cambiata e l’autore di entrambe è lo stesso” (Ebr. VII, 12).
Siccome molte disposizioni legali si riferivano alle funzioni sacerdotali, se il precedente sacerdozio è abrogato e un altro introdotto in sua vece, è anche necessario che sia introdotta una legislazione migliore in luogo della precedente. Poi, per spiegare chi è Colui di cui sta parlando, Paolo dice: “Colui del quale questo è stato detto fece parte di un’altra tribù da cui mai nessuno fu chiamato all’altare. È certo che nostro Signore è della tribù di Giuda, tribù alla quale Mosè non ha mai attribuito il sacerdozio” (idem, 13-14). Se è dunque chiaro che Cristo appartenne certamente alla tribù di Giuda ed è sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech e Melchisedech è più grande di Abramo, ne consegue che questo nuovo sacerdozio è sublime, molto più grande di quello di prima.
Poiché se il sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech superava in splendore quello giudaico, a maggior ragione quello vero gli è superiore; e Paolo così ne parla: “Anzi la cosa diventa ancora più evidente se a somiglianza di Melchisedech sorge un altro sacerdote [Cristo], il quale non lo è diventato per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una vita imperitura” (Ebr. VII, 15-16). Cosa vuol dire: “Non per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una legge imperitura“? Significa che nessun precetto di questa legge è carnale. Infatti non ordina di uccidere pecore e vitelli, ma di onorare Dio con le virtù dell’animo, e ci ha promesso in premio una vita che non avrà mai fine. In più ha riportato alla vita noi che eravamo morti a causa dei peccati, perché Egli ha distrutto la duplice morte: quella del peccato e quella della carne. Poiché è venuto portandoci questi doni l’apostolo ha detto: “Non per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una vita imperitura“.
6 – Si è dunque ormai provato che, cambiato il sacerdozio, doveva nello stesso tempo essere cambiata anche la legge. Questo si poteva dimostrare perfettamente con le testimonianze dei profeti che hanno detto che la legge doveva essere cambiata, che sarebbe mutata l’istituzione dello stato, che mai più vi sarebbe stato un re giudeo.
Tuttavia siccome si deve dire solo ciò che gli ascoltatori possono capire e quindi non troppe cose insieme e neppure troppo a lungo, rimandiamo questo argomento ad altro tempo.
Terminiamo questo sermone esortando la vostra carità perché ricordando tutte queste cose, le colleghiate con quanto avevamo detto prima. Vi avevamo pregato e vi preghiamo anche ora: riportate i vostri fratelli alla salvezza e abbiate molta sollecitudine per quelli che sono negligenti. A questo scopo noi sosteniamo tanta fatica non semplicemente per parlare, né per raccogliere il clamore degli applausi, ma per riportare i fratelli separati sulla via della verità. Nessuno mi dica: “Ma io non ho nulla a che fare con costoro, voglia il cielo che possa dirigere bene i miei affari”. Nessuno può dirigere bene i propri affari se trascura l’amore e la salvezza del prossimo; perciò Paolo dice: “Nessuno cerchi il proprio vantaggio ma il vantaggio altrui” (I Cor. X, 24), ben sapendo che l’interesse di ciascuno si trova nell’interesse del prossimo. Tu sei sano, ma è malato tuo fratello; se sarai veramente sollecito con chi è infermo maggiormente te ne dorrai e imiterai anche in questo quel beato che dice: “Chi è malato senza che io non sia malato? Chi è scandalizzato senza che io ne arda?” (II Cor. XI, 29).
Invero siamo contenti per aver versato due oboli o dato un po’ di denaro ai poveri, ma quale maggior letizia avremo se potremo salvare delle anime? E quale premio riceveremo nella vita futura? E poi ogni volta che qui ci riuniremo proveremo un grande piacere nel ritrovarci, ricordando l’aiuto che demmo loro; inoltre quando li vedremo comparire davanti a quel terribile tribunale saremo animati da grande fiducia. Allo stesso modo, gli uomini che commettono ingiustizie, che usurpano i beni altrui, che rubano, che arrecano tanto male al prossimo, quando saranno dinanzi a quel tribunale vedranno tutti quelli che hanno dovuto sopportare la loro malvagità (non vi è dubbio che li vedranno, come è chiaro dalla storia di Lazzaro e del ricco); non potranno aprire bocca, né pronunziare parola o scusarsi, ma schiacciati da una grande vergogna e da una grave condanna saranno sottratti a quella vista per essere gettati in un fiume di fuoco. Invece quelli che prendono a cuore la salvezza degli altri, che li istruiscono e li guidano, quando vedranno coloro che hanno salvato parlare in loro favore, saranno pieni di grande fiducia.
Questo vuol dire Paolo quando dichiara: “Noi siamo la vostra gloria allo stesso modo che voi sarete la nostra” (II Cor. I, 14). Quando? “Nel giorno di Nostro Signor Gesù Cristo” e Cristo stesso ci esorta dicendo: “Fatevi degli amici con le ricchezze di iniquità, affinché quando verrete a mancare vi accolgano nei loro eterni tabernacoli” (Luca XVI, 9). Vedete quale grande sicurezza ci verrà da quelli che abbiamo aiutato perché se vi sono corone, ricompense, premi per aver dato un po’ di denaro, non avremo allora una ricompensa ben più grande per aver salvato un’anima? Infatti, se quella Tabita che vestiva le vedove, aiutava i poveri, fu richiamata dalla morte alla vita e le lacrime di coloro che erano stati beneficati riportarono la sua anima nel corpo prima della sua resurrezione, cosa non faranno per te le lacrime di coloro che hai salvati? (Atti IX, 36).
Come le vedove che erano vicine a Tabita morta la riportarono in vita, così coloro che ora sono salvati da voi vi staranno intorno e faranno sì che voi otteniate da Dio molta indulgenza e vi strapperanno dal fuoco infernale.
Sapendo questo, non dovete essere fervidi e vigilanti solo adesso, ma propagate il fuoco che ora vi accende: usciti fuori spartitevi la salvezza della città’. Se poi ignorate chi sono gli infermi, cercateli.
Così anche noi vi parleremo con più fervore e senza indugi, vedendo dai fatti che non abbiamo gettato il seme sulle pietre e voi stessi sarete ancora più zelanti nell’esercizio della virtù. Come col denaro chi ha guadagnato due monete d’oro, desidera poi raccoglierne e ammassarne dieci o venti, così accade anche con la virtù: chi ha fatto un’opera buona e prestato aiuto ne trae uno stimolo o un incitamento ad agire per compiere altre opere buone.
Dunque, al fine di servire i fratelli, di ottenere il perdono per i peccati, per avere maggior fiducia, per glorificare il nome di Dio sopra ogni altra cosa, con le mogli, i figli, i servi mettiamoci alla ricerca della preda e secondo la Sua volontà liberiamo dalle reti del diavolo coloro che ha catturati e non smettiamo finché non avremo fatto tutto il possibile, sia che lo vogliano sia che non lo vogliano. Ma è impossibile se sono cristiani che non accondiscendano. Perché non abbiate scuse vi dico ancora questo: se dopo che avrai speso molte parole e fatto tutto il possibile vedrai che quel fratello non cede, portalo dal sacerdote e certo, per la grazia di Dio, lo convincerà e il merito sarà tuo che lo hai condotto per mano.
Uomini dite questo alle mogli, mogli ditelo ai mariti, i padri ai figli e gli amici agli amici. Sappiano sia i Giudei sia coloro che sembrano uniti a noi, ma condividono i sentimenti dei Giudei, quanto grande è il nostro zelo, la nostra sollecitudine e vigilanza per quei fratelli che vanno da loro. E così i Giudei respingeranno prima di noi quelli dei nostri che li frequentano; dopo di che nessuno cercherà più rifugio da loro e il corpo della Chiesa sarà puro. Dio che vuole salvi tutti gli uomini e che giungano alla conoscenza della verità, vi darà forza per questa caccia e perché li liberiate dall’errore.
Infine, dopo averci chiamati tutti alla salvezza, Dio ci renderà degni del regno dei cieli, nella sua gloria, perché a Lui appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Così sia.

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