San Giovanni Crisostomo – OMELIE CONTRO GLI EBREI 3

San Giovanni Crisostomo – OMELIE CONTRO GLI EBREI 3

TERZA OMELIA

1 – Ancora una volta una circostanza urgente ed inevitabile, interrompendo la serie di questioni di cui prima abbiamo parlato, richiede per sé il nostro discorso e ci distoglie, oggi, dalle già intraprese controversie con gli eretici. Eravamo preparati a suscitare ancora la vostra carità per la gloria dell’Unigenito, ma l’intollerabile accanimento di quelli che vogliono digiunare nella prossima Pasqua, ci costringe a dedicare tutti i nostri insegnamenti alla loro guarigione. Il buon pastore infatti, non solo scaccia i lupi, ma cura le pecore ammalate con la massima sollecitudine; a che giova che il gregge sfugga ai denti delle fiere, se poi muoiono infettate dal morbo? Così il bravo comandante non solo respinge gli assedianti, ma per prima cosa rappacifica la città divisa dalla rivolta, sapendo benissimo che a nulla servirà una futura vittoria esterna fino a quando continueranno all’interno le lotte civili. Per comprendere appieno come nulla sia più dannoso delle contese e della disunione, ascolta quel che disse Cristo: “Non potrà resistere un regno con divisioni intestine” (Matt. XII, 25).
Chi più potente di un regno al quale danno grande forza: ricchezze, armi, mura, fortificazioni, armate numerose coi loro cavalli? Tanta potenza, tuttavia, sarà dispersa se i dissidi nasceranno nel suo interno.
Nulla, in verità, è causa di debolezza quanto la lotta e le dispute, così come l’amore e la concordia danno forza e potenza. Comprendendo bene questo pensiero, Salomone affermava: “Il fratello che è aiutato dal fratello è come una città potente e un regno ben fortificato” (Prov. XVIII, 19).
Vedi quanta è la forza della concordia? Vedi quanto il danno delle contese? Un regno diviso dalla discordia cade in rovina; due uomini d’accordo e strettamente uniti sono più forti di qualsiasi baluardo.
So che, per grazia di Dio, la maggior parte di questo gregge è immune da questo male e pochi sono gli infetti dal morbo, tuttavia non bisogna trascurare la loro cura. Infatti se per caso fossero dieci, se fossero cinque, se fossero due, o se fosse uno soltanto ammalato pure sarebbe necessario non trascurare nulla per la sua guarigione. Quell’uno può essere da noi valutato vile ed abbietto, tuttavia è un fratello per cui Cristo è morto, e che Cristo ha valutato al massimo prezzo. Cristo ha detto: “Chiunque avrà scandalizzato uno di questi miseri sia preso, e legatagli una pietra da macina al collo, sia gettato in mare” (Matt. XVIII, 6), e ancora disse: “Per tutto il tempo in cui nulla hai fatto per questi meschini, nulla hai fatto per me” (Matt. XXV, 45) e in un altro punto troviamo: “Non è volontà del padre vostro che è nei cieli che anche uno solo di questi miseri perisca” (Matt. XII, 14). Quindi non è assurdo che, mentre Cristo si prende tanta cura di questi miserrimi noi, per pigrizia, li trascuriamo? Non dirmi: “È uno soltanto” perché quell’uno può trasmettere il morbo agli altri come disse Paolo: “Una particella di lievito fermenta tutta la massa” (Gal. V, 9). È proprio questa nostra trascuratezza verso i meschini che tutto manda in rovina e distrugge, perché le piaghe si estendono mentre con la cura adatta si ridurrebbero. Quindi per prima cosa ripetiamoci che non vi è nulla di peggio delle dispute e della discordia giacché, se la Chiesa sarà da esse lacerata, anche quella tunica che gli stessi assassini non avevano osato strappare, sarà lacerata in tanti pezzi. Non sono sufficienti le altre eresie senza che si creino delle divisioni tra di noi? Non odi Paolo? Egli dice: “Se vi azzannate e sbranate tra di voi state attenti perché vi distruggerete a vicenda” (Gal. V, 15). Tu cammini lontano dal gregge, non temi il leone che si aggira intorno? Ammonisce l’Apostolo: “Perché il nemico come un leone vi circuisce ruggendo mentre cerca chi possa ghermire” (I Pietro V, 8).
Agiscono così le madri affettuose con i figliuoli: minacciano i piccoli che piangono di gettarli ai lupi che li divorino, non per gettarli davvero, ma perché smettano di gridare; così Cristo fece ogni cosa in modo che avessimo cura di mantenere la pace e di stare ben uniti tra noi.
2 – Anche per questo Paolo, pur potendo accusare i Corinzi di molti e gravi peccati, anzitutto li accusò della discordia. Avrebbe potuto accusarli di fornicazione, di orgoglio, di fare ricorso a giudici pagani, di partecipare a conviti in templi idolatri; avrebbe potuto accusare le donne di non velarsi il capo e gli uomini di coprirselo, e, oltre a tutte queste colpe, anche l’indifferenza per i poveri, l’innata arroganza per i doni dello spirito, le opinioni sulla resurrezione dei corpi, inoltre poteva ancora accusarli delle liti e discussioni intestine; ma tralasciando tutte le colpe prima elencate, scelse come la prima da correggere proprio questa: la disunione.
Per non annoiarvi, mostrerò, con le stesse parole di Paolo, come egli, pur potendo accusarli di tante colpe giudicò che questa fosse la prima da correggere. Senti come parla dei fornicatori: “Si sente generalmente dire che tra voi vi sono dei fornicatori” (I Cor V, 1); di coloro che sono orgogliosi e superbi: “Alcuni sono gonfi di orgoglio come se io non dovessi venire da voi” (idem IV, 19). E sul litigare pubblicamente ricorrendo a giudici infedeli: “Osa qualcuno di voi, avendo una lite contro un altro, farsi giustizia presso gli infedeli?” (idem VI, 1). E per coloro che mangiano carne di animali offerti in sacrificio agli idoli: “Non potete partecipare alla mensa di Dio e alla mensa dei demoni” (idem X, 21).
Castiga, con queste parole, le donne che non si velano il capo e gli uomini che al contrario se lo coprono: “Ogni uomo che prega o fa profezie con il capo coperto sfigura il suo capo: invece ogni donna che prega o fa profezie senza velarsi il capo, sfigura il suo capo” (idem XI, 4-5). Che i Corinzi disprezzassero i poveri, Paolo lo mostra dicendo: “L’uno è nell’indigenza, l’altro è ubriaco” (idem XI, 21) e anche: “Disprezzate dunque la Chiesa di Dio e volete umiliare chi nulla possiede?” (idem XI, 21-22). Poi, siccome tutti desideravano i doni più grandi e nessuno voleva accettare quelli minori, così dice: “Siete tutti forse apostoli, tutti forse profeti?” (idem XII, 29). Per quelli che dubitavano della resurrezione dei morti conclude: “Qualcuno chiede come possono risuscitare i morti? Con quale corpo torneranno?” (idem XV, 35). Pur potendo rimproverarli di queste numerose colpe, prima di tutto egli trattò delle loro contese e delle loro disunioni; subito all’inizio dell’epistola dice: “Vi scongiuro, fratelli, nel nome di nostro Signor Gesù Cristo, che abbiate tutti le stesse parole e che non vi sia scisma tra di voi” (idem I, 10). Perché l’Apostolo sapeva, e lo sapeva con certezza, che questo argomento urgeva più di tutti gli altri. Se l’idolatra va spesso in Chiesa, o il superbo o quello afflitto da vizi, godendo assiduamente della dottrina, scacciano presto i vizi da cui sono affetti e riacquistano la salute; al contrario colui che volontariamente si stacca dall’assemblea, si sottrae all’insegnamento della dottrina dei Padri e sta lontano dal laboratorio del medico, sebbene sembri essere sano, assai presto sarà colpito dal male.
Il bravo dottore prima calma la febbre e dopo cura le ulcere e le fratture, così fece anche Paolo: prima elimina il dissidio, poi cura le ferite di ogni singolo membro. Per questo anzitutto li scongiura di non avere delle divisioni, di non nominare capi particolari e di non dividere in tante parti il corpo di Cristo.
Queste parole non le rivolgeva soltanto ai Corinzi, ma anche a quelli che, dopo di loro, sono colpiti dallo stesso male. A questi ultimi domanderei volentieri: che cosa è la Pasqua, che cosa la Quaresima? Che cosa appartiene al giudaismo e che cosa appartiene a noi? Perché una avviene una sola volta all’anno e l’altra è celebrata ad ogni assemblea? E anche il significato degli azimi e ancora tante altre domande su questi argomenti.
Comprenderai allora compiutamente quanto intempestiva sia la contesa di costoro che, mentre non sanno rendere ragione di quanto fanno, si comportano come se fossero i più sapienti e non accettano lezioni. Questo è sommamente riprovevole: sono ignoranti e non ascoltano quelli che sanno e, per i loro interessi, seguono sconsideratamente abitudini detestabili e cadono a precipizio nel baratro.
3 – In verità quale saggio discorso oppongono a quanto obbiettiamo? Domandano: ma voi prima non osservavate il digiuno? Non a me certamente dovete chiedere questo, ma io posso rispondervi che se è vero che prima digiunavamo, poi tuttavia si è preferita la concordia all’osservanza dei tempi. Questo è quanto Paolo diceva e questo è quanto io dico a voi: “Siate come me perché io fui come voi” (Gal. IV, 12). Che significano queste parole? Paolo aveva persuaso i Galati a rinunziare alla circoncisione, a trascurare il rito del sabato, e altri obblighi legali, ma poi vedendo che erano inquieti e temevano di dover subire pene e supplizi per le trasgressioni, sostenne il loro animo portandosi come esempio e dicendo: “Siate come me perché io ero come voi“. “Non sono forse nato da famiglia gentile? Oppure ignoro gli usi legali e le pene che la legge impone a quelli che li trasgrediscono?” “Io sono ebreo nato da ebrei, fariseo nell’osservanza della legge, per zelo persecutore della Chiesa. Ma tutto quello che avevo stimato un vantaggio, a causa di Cristo lo giudico un danno” (Filipp. III, 5-7).
Così mi sono staccato dagli ebrei una volta per tutte. Siate voi dunque come sono io, giacché io ero come siete voi. Ma perché mai parlo in nome mio?
Trecento Padri e forse più, convenuti in Bitinia hanno decretato queste cose, e tu le disprezzi tutte? Due sono le ipotesi: o tu condanni i Padri come ignoranti, che non avevano studiato accuratamente, oppure tu accusi i Padri di vigliaccheria perché pur conoscendo la questione hanno dissimulato e tradita la verità. Se non segui quanto hanno decretato, sono queste le considerazioni che ne conseguono. Quanto stabilito fu veramente modello di grande saggezza e fermezza, come testimoniano gli avvenimenti che seguirono.
La saggezza è dimostrata dalla loro esposizione della fede, esposizione che chiuse la bocca agli eretici e ne respinse le insidie come un inespugnabile baluardo; il loro coraggio è dimostrato dalla persecuzione, cessata da poco, e dalla guerra suscitata contro le chiese. Come strenui combattenti, carichi di trofei e segnati da molte ferite, tornavano da ogni parte i presuli delle chiese, portando le stigmate di Cristo; essi potevano enumerare i tanti supplizi sofferti per aver confessato la fede. Alcuni potevano descrivere le sofferenze della vita nelle miniere metallifere, altri narrare di come erano stati spogliati di ogni bene e proprietà, ricordare la fame o le innumerevoli ferite. A certuni erano stati lacerati i fianchi, ad altri la schiena duramente colpita, o gli occhi strappati dalle orbite e vi erano quelli che potevano mostrare quale parte del loro corpo era stata mutilata per la fedeltà a Cristo. Il Sinodo era formato dalla riunione di questi atleti i quali, contemporaneamente alla definizione della fede, decretarono che la solennità della Pasqua fosse celebrata in modo unanime e identico. Forse che gli stessi uomini, che in momenti difficilissimi non avevano abbandonata la fede, avrebbero agito con dissimulazione per una questione di giorni? Considera come ti comporti quando condanni questi Padri così importanti, così coraggiosi e così sapienti e capaci: se il fariseo condannando il pubblicano perde tutti i suoi beni, tu che ti opponi ingiustamente e contro ogni ragione a tanti dottori cari a Dio, quale indulgenza meriterai o quale giustificazione potrai portare?
Non udisti Cristo dire: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro?” (Matt. XVIII, 20). Ma se quando due o tre sono riuniti nel suo nome Cristo è presente, a maggior ragione quando trecento e molti di più erano presenti, Cristo era presente, e designava e definiva ogni cosa.
Tu non condanni soltanto quei Padri, ma la terra intera che approvò la loro sentenza. Allora giudichi i giudei più sapienti dei Padri venuti da ogni parte, questi giudei che, ripeto, sono privi dei riti degli antenati e che non celebrano nessun giorno solenne? Da loro non vi sono né il pane azimo né le feste pasquali (anche se sento che molti dicono che hanno Pasqua e azimo); che effettivamente non vi siano da loro gli azimi, lo comprendi dalle parole del legislatore: “Non potrai celebrare la Pasqua in nessuna delle città che ti il Signore Dio tuo, ma soltanto nel luogo in cui il suo nome sarà invocato” (Deut. XVI, 5-6): parla di Gerusalemme. Considera dunque come il Signore abbia prima limitato ad una sola città il giorno festivo, e poi abbia distrutto questa stessa città per strappare gli abitanti, malgrado loro, da quelle usanze religiose. Non c’è dubbio che il Signore prevedeva le conseguenze. Per qual ragione del resto radunò qui i giudei venuti da ogni parte della terra, pur prevedendo che in futuro la città sarebbe stata distrutta? Non è evidente che voleva abolire questa festività? Dio dunque la cancellò, e tu ricerchi la compagnia dei giudei, dei quali il Profeta disse: “Chi è cieco se non i miei figli, e chi è sordo se non coloro che li comandano?” (Isaia, XLII, 19). Infatti verso chi furono ingrati e stupidi? Verso gli apostoli, verso i profeti, verso i loro dottori? Ma che bisogno vi è di parlare di profeti e di dottori quando uccidevano persino i loro figli? “Immolarono ai demoni i loro figli e le loro figliuole” (Salmo CV, 37). Non hanno tenuto conto della voce della natura, come dunque, ti chiedo, potevano osservare le solennità? Calpestarono i congiunti, dimenticarono i legami con i figli, e hanno dimenticato il Dio da cui erano stati creati; disse il Profeta: “Hai abbandonato il Dio che ti ha generato e dimentichi il Dio che ti ha nutrito” (Deut. XXXII, 18). Dunque avrebbero dimenticato Dio e celebrato le solennità? Ma chi dice questo? Se Cristo celebrò la Pasqua con loro, non fu perché noi pure la celebrassimo coi giudei, ma per passare dall’ombra alla luce della verità. Fu circonciso, osservò il sabato e ne celebrò la festività, mangiò il pane azimo e tutto questo lo compì a Gerusalemme; tuttavia noi non siamo più tenuti all’osservanza di questi obblighi, come proclama Paolo quando dice: “Se ti farai circoncidere, Cristo non ti servirà più a nulla” (Gal. V, 2) e sugli azimi: “Celebreremo la solennità non con l’antico lievito, con il lievito della malizia e dell’iniquità, ma con gli azimi della sincerità e della verità” (I Cor. V, 8). In verità i nostri azimi non sono farine mescolate, ma consistono in rapporti sinceri e in una vita virtuosa.
4 – Ma per qual ragione, in quel tempo, Cristo si comportò in tal modo? Perché l’antica Pasqua era l’immagine della Pasqua futura; poi fu necessario aggiungere la verità all’immagine e, dopo aver mostrato l’ombra, nella stessa cena, introdusse la verità. In seguito, mostrata la verità, l’ombra scompare, e non ha più ragione d’essere. Non voler dunque oppormi questo argomento, ma piuttosto dimostrami che Cristo ha comandato che così fosse. Perché io dimostro il contrario: cioé che Cristo non solo non comandò che queste festività fossero osservate, ma anzi ci ha affrancati da questo obbligo. Ascolta, riflettendo, le parole di Paolo, e invero dicendo Paolo, dico Cristo: perché è Cristo che ispira l’animo dell’Apostolo. Cosa dice dunque Paolo? “Voi osservate i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni. Temo per voi che io abbia lavorato tra voi inutilmente” (Gal. IV, 10-11) e ancora: “Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo vino, annunzierete la morte del Signore” (I Cor. XI, 26). Dicendo chiaramente “ogni volta che” dichiarò che colui che si accosta alla sacra mensa ha la libertà di scegliere il tempo e lo liberò da ogni osservanza di giorni stabiliti.
Pasqua e Quaresima non sono la stessa cosa: Pasqua è una cosa, la Quaresima un’altra. La Quaresima ha luogo soltanto una volta all’anno, la Pasqua invece tre volte alla settimana, talvolta anche quattro o, per meglio dire, addirittura ogni volta che lo vogliamo. Perché la Pasqua non è un digiuno, ma un’oblazione, e un sacrificio che celebriamo in ogni assemblea.
Che le cose stiano in questo modo lo comprendi dalle parole di Paolo: “Il nostro Agnello pasquale, immolato per noi è Cristo” (I Cor. V, 7) e “tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore” (I Cor. XI, 26). Pertanto ogni volta che con coscienza pura ti accosti alla sacra mensa, celebri la Pasqua, non quando digiuni, ma quando partecipi al sacrificio: “In verità ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo vino annunzierete la morte del Signore“. Celebrare la Pasqua è annunziare la morte. L’oblazione offerta oggi, quella di ieri, quelle celebrate in un qualsiasi giorno sono perfettamente identiche a quella del sabato santo: né questa è più venerabile di quella, né quelle sono meno perfette di questa, ma tutte ugualmente temibili ed ugualmente salutari. Ma, chiede, perché dunque digiuniamo per quaranta giorni?
Molti, una volta, si accostavano ai sacri misteri, senza riflettere e senza preparazione, soprattutto al tempo in cui Cristo li istituì. Ora i nostri Padri, comprendendo quale danno derivasse da un atto tanto sconsiderato, stabilirono d’accordo quaranta giorni consacrati al digiuno, alle preghiere, all’ascolto della parola di Dio, alle riunioni, affinché, dopo esserci purificati in tutti questi quaranta giorni, per mezzo delle preghiere, dell’elemosina, del digiuno, delle veglie, delle lacrime, della confessione, e di molte altre pratiche di pietà, secondo le proprie forze, potessimo accedere ai sacri misteri con animo puro.
Che i Padri abbiano raggiunto un eccellente ed importante risultato, con la loro sollecitudine, abituandoci a questo periodico digiuno, è provato sicuramente: se anche per tutto l’anno non cessassimo di annunziare con veemenza il digiuno, nessuno darebbe ascolto alle nostre parole; invece adesso, quando arriva il tempo della Quaresima, senza incitamenti, senza avvertimenti, anche il più negligente si anima e segue i consigli e le esortazioni che gli dà quest’epoca dell’anno. Quindi se qualcuno, giudeo o gentile, ti chiede le ragioni del tuo digiuno, non dire che è per la Pasqua, e neppure per la Croce, perché gli offriresti un pretesto per biasimarti: in realtà noi digiuniamo non a causa della Pasqua o a causa della Croce, ma a causa dei nostri peccati perché vogliamo accostarci ai sacri misteri: del resto la Pasqua non è affatto occasione di digiuno o di tristezza, ma di gaudio ed esultanza.
La Croce infatti ha cancellato il peccato, purificato la terra intera, riconciliato antichi odi, aperte le porte del cielo, reso amici coloro che si odiavano, riportato l’uomo in cielo, collocò la natura umana a destra del trono celeste, colmando noi tutti d’altri infiniti benefici. Per tutte queste ragioni non bisogna quindi piangere o rattristarsi, ma, al contrario, essere lieti e rallegrarsi. Paolo diceva: “Lungi da me il pensiero di gloriarmi se non per la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo” (Gal. VI, 14) e ancora: “Dio ha mostrato la grandezza della sua carità verso di noi, perché quando eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi” (Rom. V, 8).
Chiaramente lo dice Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo” (III, 16). In qual modo, ti chiedo? L’Apostolo, tralasciando tutte le altre considerazioni, mise in primo luogo la Croce. Infatti dopo aver detto: “Così Dio amò il mondo“, aggiunge “…che diede il suo Figlio Unigenito, perché fosse crocefisso, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna” (Giov. III, 16). Quindi, se la Croce è occasione di amore e di gloria, non diremo che piangiamo a causa della Croce; in verità non per essa piangiamo, bensì per i nostri peccati. E per i nostri peccati digiuniamo.
5 – Certamente il catecumeno, sebbene digiuni ogni anno, non celebra la Pasqua, dal momento che non partecipa all’oblazione; al contrario, colui che non digiuna, se si presenta con la coscienza pura, celebra la Pasqua oggi, o domani, o in qualsivoglia momento si comunichi. Non dobbiamo infatti giudicare la perfezione della comunione secondo il momento in cui è stata fatta, ma secondo la purezza della coscienza. Invece noi facciamo proprio il contrario: non purifichiamo la nostra anima, ma se ci comunichiamo in quel determinato giorno stimiamo di aver celebrato la Pasqua, sebbene carichi di mille peccati. Ma non così stanno le cose, in realtà se in quel sabato santo hai partecipato con animo impuro alle sacre cerimonie, sei venuto via senza aver celebrato la Pasqua; se invece oggi, purificato dai peccati ti comunichi, avrai celebrato la Pasqua in modo perfetto.
Per la partecipazione ai divini misteri sono necessari zelo e fervore e non l’osservanza di questo o quel momento. Ma tu preferiresti molto sopportare, piuttosto che mutare la consuetudine; ebbene è invece necessario disprezzarla e fare tutto il possibile e anche soffrire per non accostarsi alla sacra mensa macchiati da peccati. Affinché tu comprenda come Dio non dà peso al tempo e alla sua osservanza, ascolta quanto Egli stesso proclama: “Mi vedesti affamato e mi nutristi; mi vedesti assetato e mi desti da bere; mi vedesti nudo e mi copristi” (Matt. XXV, 35); e a coloro che sono alla sua sinistra egli rimprovera la condotta contraria.
In un altro momento per ricordare i peccati, così rimprovera: “Cattivo servo, ho cancellato tutti i tuoi debiti; non dovevi tu pure aver compassione del tuo simile come io ho avuto compassione di te?” (Matt. XVIII, 32). Escluse dal ricevere lo sposo le vergini, perché non avevano olio nelle lampade (Matt. XXV, 7); scacciò dal festino un convitato che era entrato con l’abito non adatto alle nozze, ma con indumenti sporchi e macchiati da gozzoviglie e impurità (Matt. XXII, 11 e segg.). Invece mai nessuno fu punito o rimproverato per aver celebrata la Pasqua in questo o in quel mese.
Ma perché mai parlo di noi che siamo liberi da questi obblighi, noi la cui dimora è su nei cieli dove non ci sono né mesi, né sole e luna, né il corso degli anni? Ma se vogliamo guardare con attenzione, si vedrà che neppure per i giudei la considerazione del tempo ha grande importanza, ma che si deve anteporre la considerazione del luogo, cioè Gerusalemme. Quando alcuni chiesero a Mosè: “Siamo immondi per aver toccato un corpo morto, saremo per questo privati della possibilità di offrire doni al Signore?”. Mosè rispose: “Chiediamo al Signore“. Quando Mosè ritornò, portò una legge che prescriveva: “Se qualcuno sarà impuro per aver toccato un morto o se dovrà fare un lungo viaggio e non potrà per questo celebrare la Pasqua il primo mese, la celebrerà nel secondo” (Num. IX, 7, 8, 9).
In conclusione, presso i giudei l’osservanza rigorosa del tempo non è obbligatoria purché la Pasqua sia celebrata a Gerusalemme. Tu, invece anteponi il tempo alla concordia con la Chiesa; anzi, mentre ti sembra opportuno osservare certi giorni, non oltraggi forse la nostra madre comune, la Chiesa, portando la disunione nelle sante assemblee? Di quale perdono ti stimerai degno tu che senza motivo vuoi commettere tali peccati? Ma perché parlo ancora dei giudei? Perché anche a noi non sarebbe possibile, per quanto ardentemente lo desiderassimo e volessimo, celebrare la Pasqua proprio in quel giorno in cui Cristo fu crocefisso.
Anche supponendo che i giudei non fossero trasgressori della legge, né ingrati, né insensati, né empi, né sprezzanti, quand’anche non abbandonassero i riti dei padri ma anzi li osservassero con somma diligenza, non sarebbe possibile a noi, seguendo le loro orme, celebrare nello stesso giorno quello in cui Cristo fu crocefisso e quello in cui celebrò la Pasqua.
Te ne dirò chiaramente la ragione. Quando Cristo fu crocefisso era il primo giorno degli azzimi e vigilia del sabato; orbene, che entrambi cadano insieme non succede tutti gli anni. Infatti quest’anno il primo giorno degli azzimi cade di domenica ed è necessario che digiuniamo tutta la settimana, di modo che quando la Passione sarà trascorsa e i giorni della crocefissione e della resurrezione saranno arrivati, noi staremo ancora digiunando. In realtà accade spesso che dopo che sono arrivati i giorni della crocifissione e della resurrezione, noi digiuniamo ancora, poiché la settimana non è interamente trascorsa; di conseguenza l’osservanza del tempo è, si può dire, nulla.
6 – Non stiamo a discutere e a dire: “Come, ho digiunato per tanto tempo in questo modo e adesso cambierò?”. Proprio per questa ragione devi cambiare, poiché per tanto tempo sei stato lontano dalla chiesa ora devi tornare alla Madre. Nessuno dica: “Poiché per tanto tempo ho provato odio, mi vergogno di riconciliarmi”. È invece vergogna e disonore non il mutare in meglio ma persistere in un rancore inopportuno; ed è questo che ha perduto i giudei: mentre persistevano nel costume antico, precipitavano nell’empietà.
Ma perché parlo del digiuno e dell’osservanza dei giorni? Paolo non trascurava di osservare la legge, sopportava molte fatiche ed affanni, intraprendeva viaggi, resisteva pazientemente a molte altre tribolazioni, superando tutti i suoi contemporanei nell’esatta osservanza delle prescrizioni religiose: tuttavia pervenuto alla perfezione della religione giudea, comprendendo che tutto questo tornava a suo danno e lo portava alla perdizione, non esitò a mutare immediatamente. Non disse a sé stesso: “Che mai è questo? Perderò i frutti di tanto lavoro? Renderò inutili tante fatiche?”. Proprio per queste ragioni si affrettò a cambiare, per non soffrire una seconda volta simili danni, abbandonò la giustizia della legge per accettare la giustizia della fede e lo proclama dicendo: “Tutto quello che credevo un profitto, lo giudico adesso un danno a causa di Cristo” (Filipp. III, 7). “Se mentre presenti la tua offerta all’altare ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, vai prima a riconciliarti con lui e poi vieni a fare la tua offerta” (Matt. V, 23).
Che ne dici? Se tuo fratello ha qualcosa contro di te, non ti è permesso offrire il sacrificio finché non ti sarai riconciliato; e mentre la Chiesa intera e molti Padri ti sono contrari, saresti tanto audace da partecipare ai sacri misteri senza aver prima messo fine a questo odio insolente? Come potresti con questo stato d’animo celebrare la Pasqua? Mi rivolgo non soltanto ai fratelli smarriti, ma mi rivolgo anche a voi che siete ancora sani, affinché raduniate con molto zelo e dolcezza quelli che vi sembrano ancora in errore e poi li riportiate in seno alla Madre Chiesa. Può darsi che oppongano resistenza, può darsi che siano ostinati, ma qualunque cosa facciano non stanchiamoci di insistere finché non li avremo convinti. In verità non vi è nulla che valga più della pace e che possa essere paragonato alla concordia.
È per questa ragione che il Padre entrando qui non sale su questo seggio senza aver prima augurato la pace a tutti voi, e levatosi non incomincia a darvi i suoi insegnamenti senza prima aver dato a tutti la pace. Anche i sacerdoti quando debbono benedire, anzitutto fanno questo augurio di pace, poi incominciano le loro benedizioni. Inoltre il Diacono quando vi ordina di pregare tutti insieme vi raccomanda di supplicare, nella preghiera, l’angelo della pace e che tutte le offerte siano di pace; di più rimandandovi da questa riunione chiede per voi lo stesso favore dicendo: “Andate in pace”. Senza la pace nulla è possibile dire o fare.
La pace è realmente la nostra nutrice e madre che ci sostiene con attenzione e tenerezza; ma quando dico pace non voglio indicare solo quello che di solito esprimiamo con questa parola, né voglio chiamare pace il sedersi alla stessa tavola, ma pace secondo Dio, cioè quella pace che nasce dall’unione spirituale, e che oggi molti fedeli distruggono; come quelli che danneggiano la nostra fede con inopportune dispute ed esaltano il giudaismo reputando i dottori giudei più degni dei loro Padri. A proposito della passione di Cristo poi credono a quanto dicono gli assassini: vi può essere qualcosa di più assurdo? Non sapete dunque che il giudaismo era l’immagine e che questa è la realtà? Considerate ora quanta è la differenza: quella proibiva la morte corporale, questa placò la collera contro l’intero universo; la prima ci affrancò dal giogo d’Egitto, la seconda ci liberò dal giogo dell’idolatria; e ancora, l’una soffocò il Faraone, l’altra il demonio; e dopo quella, la Palestina, dopo questa, il cielo.
Perché mai dunque siedi accanto alla lucerna ora che è apparso il sole? Dimmi, ti prego, vuoi continuare a nutrirti di latte mentre ti sono offerti cibi più sostanziosi? Per questo sei stato nutrito di latte, perché non ne fossi del tutto soddisfatto, per questo ti hanno fatto luce con la lucerna, per condurti a vedere il sole. È arrivata l’epoca delle cose perfette, non torniamo indietro, non stiamo ad osservare né i giorni, né i tempi, né gli anni, seguiamo con fedeltà la Chiesa e in ogni cosa anteponiamo a tutto la carità e la pace. Quand’anche la Chiesa sbagliasse, dall’esatta osservanza del tempo non deriverebbe tanto bene e tanto vantaggio, quanto danno risulterebbe invece dalla divisione e dallo scisma. Per conto mio non do nessuna importanza all’osservanza del tempo perché nessuna ne dà Dio, come con molte considerazioni ho dimostrato nei miei sermoni.
Ma una sola cosa chiedo: che tutto si faccia in pace e concordia e che, mentre noi digiuniamo e il popolo con noi, mentre i Sacerdoti pregano per il bene di tutto il mondo, tu non stia a casa a gozzovigliare. Rifletti come questo tuo comportamento sia opera del demonio e porti con sé non uno, o due, o tre peccati, ma molti di più. Ti sei separato dal gregge e mentre condanni tanti Padri della Chiesa precipiti nella disputa; vai a cacciarti dai giudei dando scandalo ai fratelli e agli estranei. Come potremo rimproverare ai giudei di stare nelle loro case proprio quando tu corri da loro? Non vi sono soltanto questi peccati, ma resta il grave danno di non godere delle scritture, delle assemblee, delle benedizioni e delle preghiere fatte in comune durante i digiuni; tu passi tutto il tuo tempo con cattiva coscienza, tremando e temendo di essere scoperto come se tu fossi straniero e d’altra stirpe, mentre sarebbe necessario che tu, con fiducia e piacere, con gioia e al tempo stesso in assoluta libertà, partecipassi alle celebrazioni con tutta la Chiesa.
All’inizio neppure la Chiesa conosceva l’esatto computo del tempo, ma poiché ai Padri che erano dispersi sembrò bene riunirsi e stabilire questo giorno, la Chiesa desiderosa dell’unione ovunque, e sollecita della concordia, accolse la decisone. È stato già sufficientemente dimostrato che sarà impossibile a voi, a noi, a chiunque compiere nello stesso giorno i sacri misteri.
Non combattiamo con le ombre, non rechiamoci danno nelle questioni importanti, discutendo su piccolezze. Poiché non è colpa digiunare in questo o quel momento, ma lo è dividere la Chiesa, perdersi in discussioni, privarsi sempre delle sacre riunioni: questo è imperdonabile, degno di condanna e di grave castigo. Molto si potrebbe ancora dire, ma a coloro che ci hanno seguiti con attenzione quanto abbiamo detto è sufficiente; per i meno attenti dire di più non servirebbe.
Terminiamo qui il nostro discorso pregando tutti i nostri fratelli di tornare a noi, di abbracciare la pace, di abbandonare ogni inopportuna contesa, e, trascurando le inezie, di elevare la mente e il pensiero, liberandosi dall’osservanza dell’obbligo del tempo, e tutti insieme con un solo spirito e una sola voce rendere gloria a Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, a cui appartengono la gloria e la potenza ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.
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