Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, il socialismo, i servizi e la Somalia

Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, il socialismo, i servizi e la Somalia

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Mauro Rostagno intervista Paolo Borsellino
Dal
sito lombardia.indymedia.org:

 
MAURO
ROSTAGNO, ILARIA ALPI, IL SOCIALISMO, I SERVIZI E LA SOMALIA
giovedì,
4 ottobre 2012
autore:
Rsp
individualità Anarchiche
Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, il Socialismo, i
Servizi e la Somalia
Nella penultima udienza del processo Rostagno
è comparso in aula Angelo Siino (pentito, ex collaboratore e
“ministro” dei lavori pubblici di Totò Riina, ovvero colui che
si occupava di gestire appalti) che parla del mandato di uccisione
del giornalista e sociologo piemontese per mano di cosa nostra.
A
quanto pare Rostagno era a conoscenza di inciuci tra la mafia e le
logge massoniche trapanesi e per questo considerato “arrivato”
(cioè talmente scomodo da essere ucciso).
E’ la svolta del
processo per il delitto di Mauro Rostagno, perchè per la prima volta
c’è un riscontro concreto su un preciso “danno” che Rostagno
aveva prodotto alle connessioni più pericolose esistenti nel
trapanese, quelle tra mafia e massoneria, i cosidetti, veri, “poteri
forti”, ma il 1 marzo, a 24 ore dall’udienza in cui ha deposto il
pentito Angelo Siino, i giornali, che scrivono del dibattimento,
preferiscono fare sapere a chi legge che c’erano semmai “corna da
rompere” riprendendo l’affermazione che secondo Siino fu usata
dal patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro quando
con lui parlò del fastidio che aveva nei confronti degli editoriali
in tv, da Rtc, di Mauro Rostagno. Nessun cenno al nome invece venuto
fuori, e nemmeno per la prima volta, del gran maestro della P2 Licio
Gelli, non come “evocazione” di un fantasma o di una figura
incerta, così come era accaduto in altre udienze, durante le quali
come ipotesi si era prospettata la circostanza che Rostagno aveva
saputo di una presenza a Trapani del gran maestro della P2, ma con
tanto di precisione. Siino ha infatti riferito di un passaggio
“trapanese” di Licio Gelli, indicandone non solo il periodo ma
anche la ragione.
Il 26/9/2012 si svolge l’udienza sull’ucisione
di Rostagno nell’aula «Falcone» del Palazzo di Giustizia di
Trapani, davanti alla Corte di Assise, per il delitto di Mauro
Rostagno i due conclamati mafiosi, Vincenzo Virga e Vito Mazzara,
servirebbe certamente come materiale per un convegno documentato e
approfondito sui tanti «misteri» che ruotano ancora attorno alla
città, a proposito di commistioni tra mafia, massoneria, servizi
segreti, deviati e non deviati, traffici di armi e droga con
coperture eccezionali, Gladio che a fine anni ’80 si impianta qui
perchè il governo dell’epoca individuò nella Libia il «nuovo»
pericolo, dopo che Gladio era nata per combattere una eventuale
invasione comunista. Gladio che come unica informativa produsse un
rapporto su un ipotetico spaccio di droga dentro la Comunità Saman.
E quindi non è inverosimile che Rostagno sia stato ucciso da una
«mafia» che si è sentita fin troppo scoperta.
I risvolti di
quella indagine operazione «Codice Rosso» (l’inchiesta che colpì
come presunti mandanti ed esecutori, e favoreggiatori del delitto
Rostagno, membri della comunità da lui fondata) sono clamorosi: dopo
i primi arresti (la cosidetta pista interna Saman), il proseguo
dell’inchiesta cominciò a toccare un sistema di connessioni
«pesanti». Escono fuori antichi verbali, mai opportunamente
considerati (agli atti mancano anche informative della Digos), su
traffici di armi e droga con «coperture» militari fatte a Birgi,
l’autorità aeronautica che disconosce l’esistenza del vecchio
aeroporto di Kinisia (quello oggi usato come campo di accoglienza per
i profughi arrivati a Lampedusa), il segreto di stato che impedisce
di conoscere il lavoro di alcuni generali e alti ufficiali a Trapani
(Emilio Battiati, Emilio Migliozzi, Giuseppe Grignoco, Ezio Pagani,
Carlo Blandini, Vittorio Zardo, Enzo, Massenta). I vecchi verbali
raccontano di traffici di droga e di armi gestiti dalla potente mafia
trapanese, un investigatore ha firmato un verbale dove parla di
interessi della cosca Trapanese, il pentito di Mazara, Sinacori,
racconta che di un paio di questi traffici ha avuto precisa certezza,
ma la cosa clamorosa è che negli anni ’80 sarebbero stati militari
in servizio a Birgi a coprire questi affari. E negli anni di
Rostagno? Il traffico avrebbe avuto coperture più importanti,
politicamente targati, Partito Socialista in particolare, “non
quello di oggi (dice un investigatore) ma quello dell’epoca, molto
potente in Italia”. E come nel gioco delle casualità che tanto
casuali non sono spunta fuori il maggiore dei referenti del Garofano
che c’era a Trapani.
L’uomo più vicino a Bettino Craxi leader
maximo dei socialisti italiani era proprio Francesco Cardella, il
guru della Saman e nella sua testimonianza il vice questore
Pampillonia ha fatto cenno al ruolo che avrebbe avuto Francesco
Cardella: avrebbe utilizzato “le scatole vuote della struttura,
per gestire traffici di armi con la Somalia, dove il guru avrebbe
inviato un suo emissario, ufficialmente, per realizzare un ospedale
mai però costruito”. Il nome è quello di Giuseppe Cammisa
detto Jupiter, l’uomo più intimo con Cardella, imparentato con
l’avv. Antonio Messina, boss del narcotraffico di Campobello di
Mazara, Cammisa in Somalia fu l’ultimo a incontrare la giornalista
Rai Ilaria Alpi prima che questa fosse uccisa. In quelle stesse
strade somale al tempo girava anche il maresciallo del Sismi,
l’allora servizio segreto militare, Vincenzo Li Causi, guarda caso
il capo centro di Gladio a Trapani, ucciso a Mogadiscio dal cosidetto
fuoco amico. Sullo sfondo del delitto Rostagno, ci sarebbe “un
intreccio tra mafia, massoneria, servizi segreti e traffico di armi”.
Il vice questore Pampillonia ha parlato per più di 8 ore:
rispondendo alle domande della difesa, ha ricostruito i riscontri
incrociati ottenuti durante le indagini cordinate dal procuratore di
Trapani dell’epoca Gianfranco Garofalo. Il teste, riferendosi alla
base militare in disuso di Kinisia ha ricordato di aver eseguito dei
sopralluoghi assieme a Sergio Di Cori, un giornalista, amico di
Rostagno, che avrebbe ricevuto da quest’ultimo confidenze su un
traffico di armi tra l’Italia e la Somalia, filmato con una
videocamera proprio in quei luoghi. Nell’udienza di ieri è saltato
fuori anche il famoso fax mandato da Cardella a Rostagno, dove lo
definiva «pericoloso» e lo cacciava via dalla residenza dei
dirigenti della comunità. Non è vero che Chicca Roveri lo fece
distruggere, questo fax risulta già agli atti d’indagine negli
anni ’90, ne parlò dapprima Cardella e poi la Roveri, l’ordine,
eventuale, di distruzione, dato a metà degli anni ’90 da Chicca
Roveri sarebbe stato inutile.
Nel 2002, i consulenti della Procura
di Palermo che indagavano sul delitto di Mauro Rostagno non erano
riusciti neanche ad entrare nella sede romana del Sisde. E per 10
anni, la richiesta di acquisire documenti dall’archivio dei servizi
segreti è rimasta lettera morta. Fino a quando il Dipartimento delle
informazioni per la sicurezza, diretto dal prefetto Gianni De
Gennaro, ha comunicato ai magistrati di Palermo che la loro istanza
era stata accolta. Così, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, i
sostituti Gaetano Paci e Francesco Del Bene sono stati ricevuti prima
nella sede dell’Aisi, poi in quella dell’Aise, gli ex Sisde e Sismi,
i servizi segreti civili e militari. I magistrati sono tornati a
Palermo con un centinaio di documenti, acquisiti nell’ambito
dell’indagine “stralcio” sulla morte del giornalista
sociologo, quella che sta cercando di fare luce sui mandanti e i
complici occulti dell’assassinio del 1988.
Ma cosa conservavano i
servizi segreti sulla morte di Mauro Rostagno? Già 20 anni fa, la
richiesta dei magistrati agli 007 era stata chiara: “Si chiede
di acquisire informazioni dagli atti d’archivio che possano
confermare collegamenti fra la scomparsa di Rostagno e traffici
internazionali di armi, con particolare riferimento ai traffici fra
Italia e Somalia”. E ancora: “Eventuali collegamenti fra la
scomparsa di Rostagno e l’omicidio in Somalia della giornalista
Ilaria Alpi”. I magistrati chiedevano poi chiarimenti sul centro
“Scorpione” di Trapani, un’articolazione della struttura
segreta Gladio, che operò in Sicilia fra il 1987 e il ’90. Perché
non è ancora chiaro cosa abbia fatto davvero Gladio a Trapani. Gli
ex responsabili della struttura, interrogati anni fa, non hanno
chiarito il giallo. Anzi, l’hanno alimentato.
Il colonnello Paolo
Fornaro ha spiegato di essere stato inviato in Sicilia per
“impiantare un’azione di contrasto contro la criminalità
organizzata”. Il suo successore, il maresciallo Vincenzo Li
Causi, ha detto di non sapere nulla di quell’attività antimafia, e
ha ribadito che Gladio era solo “una struttura creata per
preservare la nazione da attacchi nemici”. Cosa abbia fatto in
concreto “Scorpione” non è dato sapere. Fornaro e Li Causi
hanno parlato genericamente ai magistrati di una relazione di
servizio trasmessa a Roma: avrebbe avuto ad oggetto la comunità
Saman in cui viveva Rostagno, e un traffico di droga gestito da
alcuni ospiti della struttura. Ma di quella relazione non ci sarebbe
traccia fra le carte consegnate dai servizi. Così il mistero di
“Scorpione” prosegue. È anche il mistero di una vecchia
pista aerea in disuso, nei dintorni di Trapani. È la pista di
Kinisia. Nel ’97, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica negò che su
quella installazione si fosse tenuta attività durante l’estate 1988.
Forse, i mesi in cui Rostagno avrebbe ripreso con una telecamera
nascosta qualcosa, poi registrato in una cassetta, scomparsa la sera
del delitto. Dopo le indicazioni di un testimone, i magistrati di
Trapani tornarono ad insistere con l’Aeronautica. Così, spuntò
un’esercitazione a Kinisia, la “Firex 88”. Fu solo una
simulazione? O forse in quell’occasione Rostagno aveva scoperto il
passaggio in Sicilia di un traffico d’armi? .
Diversi documenti e
testimonianze affermano che la Alpi stava arrivando al cuore dei
malaffari che legavano la Somalia all’Italia e ai Paesi dell’Est,
dai quali provenivano gli armamenti, pagati col permesso di
seppellire in loco le sostanze nocive.
Diversi testimoni
raccontano agli inquirenti un articolato sistema di traffici di armi,
rifiuti pericolosi e scorie radioattive, i cui proventi alimentavano
in parte conti neri o finivano in tangenti. Un sistema gestito da
faccendieri italiani e stranieri, che chiamano in causa complicità
politiche legate in special modo all’area socialista. Testimoni e
faccendieri fanno ripetutamente i nomi di Paolo Pillitteri e di
Pietro Bearzi, all’epoca rispettivamente presidente e segretario
generale della Camera di commercio italo-somala, stretti
collaboratori di Bettino Craxi, nonché i nomi di uomini
dell’Intelligence dell’Italia e di altri Paesi. In particolare,
gli investigatori di Torre Annunziata, sulla base del materiale
raccolto, ritengono che Ilaria Alpi possa essere stata uccisa non
tanto per aver raccolto informazioni e prove su presunti trasporti di
armi fatti con i pescherecci della società italo-somala Shifco,
quanto per aver scoperto a Bosaso depositi di armi trasportate da
Hercules C-130 italiani e ancora recanti l’indicazione della loro
provenienza dai Paesi dell’Europa orientale.
A indicare questa
pista è soprattutto l’imprenditore Francesco Corneli, ritenuto
vicino ai servizi segreti siriani, nonché ex collaboratore esterno
del Sisde (servizio segreto civile italiano), ascoltato più volte
nel giugno 1997. Corneli aggiunge dettagli inediti: sostiene che per
fronteggiare la guerra civile che lo vedeva perdente, il dittatore
somalo Siad Barre, tra il 1990 e il 1991, chiese ai suoi referenti
socialisti in Italia di procurargli «armamenti di alta tecnologia».
Secondo Corneli, il Psi si accordò col Pci, per aprire un canale di
rifornimento con i Paesi del blocco orientale. «Allora e negli anni
successivi», conclude Corneli, «armi provenienti dall’Europa
dell’Est furono veicolate attraverso l’Italia con voli militari
che giungevano in Somalia».
Il 7/8/1997 un altro testimone, Marco
Zaganelli, dichiara: «Nel periodo in cui sono stato in Somalia, io e
tanti altri abbiamo notato con cadenza settimanale la presenza di
aerei militari non identificati del tipo Hercules che scaricavano
armi in Somalia». Che Bosaso fosse importante non soltanto per il
suo porto, ma anche perché vi potevano tranquillamente atterrare
aerei militari da trasporto, ci è stato confermato di recente da
Guido Garelli.
Armi, insomma. Dall’Italia alla Somalia, via mare
e via cielo. Così nel 1992, nel ’93 e anche nel ’94, sotto gli occhi
della missione Onu. Ne parla diffusamente il collaboratore di
giustizia Francesco Elmo, che ha lavorato nello studio di un avvocato
svizzero, a Lugano, dai cui uffici transitavano documenti relativi a
questi traffici (da lui spesso “intercettati”) e alle
relative operazioni bancarie. Francesco Elmo ha altresì precisato
che le armi non finivano soltanto alle fazioni somale in lotta tra
loro, ma pure ad altri Paesi («Eritrea, Yemen del Sud, Sudan»),
oltreché ai guerriglieri palestinesi, irlandesi (Ira) e baschi
(Eta).
Nel
corso di indagini diverse, altri inquirenti avevano d’altronde
acquisito un documento datato settembre 1992 che ricostruiva, traccia
dopo traccia, una spedizione di componenti di carri armati Leopard 1
e Leopard 2 fabbricati da una ditta tedesca, partiti dal porto di La
Spezia e arrivati a Mogadiscio (ma forse destinati a rifornire gli
arsenali dell’Iran o dell’Irak).
Perfino il generale Carmine
Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia fra il 1993 e
il ’94, in un interrogatorio a Torre Annunziata, il 3/12/1997,
ammette che «in quel periodo entravano senz’altro armi, specie
dalla strada costiera che dal porto di Obbia arriva a Mogadiscio. Il
traffico di armi avveniva con mezzi navali e anche con piccoli aerei
che atterravano su una striscia di terra battuta ubicata a circa 40
chilometri a Nord-Est di Mogadiscio».
Che i loschi affari fossero
in pieno svolgimento proprio nell’anno in cui vennero uccisi Ilaria
e Miran, lo sostiene anche Francesco Elmo. Nel suo memoriale del
22/8/1997 dice: «Nel 1994 un gruppo di personaggi di area socialista
erano posti alla regìa di una vendita di armamenti “libici”
alla Somalia». Elmo fornisce pure dettagli circa la rotta della nave
che li trasportava.
Armi, ma non solo. Nei giorni precedenti la
sua partenza per Bosaso, Ilaria incontra Faduma Mohammed Mamud,
figlia dell’ex sindaco di Mogadiscio, definita dai giudici della
seconda Corte d’assise di Roma teste «attendibile e
disinteressata». Nell’aula-bunker di Rebibbia, il 16/6/’99, Faduma
racconta: «Ilaria mi aveva detto che seguiva una certa pista, una
pista abbastanza pericolosa… Era una questione delicata, di cui non
dovevo parlare con nessuno, salvo con qualche persona che poteva
aiutarci, di cui potevo fidarmi ciecamente… Lei si interessava a
certe cose orrende che venivano fatte sulle coste somale. Aveva
appreso che erano stati scaricati rifiuti tossici; cose che noi
sapevamo già. Ma eravamo impotenti, non potevamo farci niente».
«Io
le ho detto», prosegue Faduma, «che dal 1988 le cose avevano
cominciato ad andare alla deriva; non avevamo guardiacoste, non
avevamo niente. Avevo sentito che in quasi tutto il litorale somalo,
a Merca, a Mogadiscio, a Obbia, nel Moduk, in Migiurtinia (l’area
di Bosaso, ndr) erano sepolti dei fusti di cui non si conosceva il
contenuto. Ho inoltre fatto notare a Ilaria che erano comparse in
Somalia delle malattie nuove, e che si erano registrate morie di
pesci».
La deposizione di Faduma trova riscontro nelle
informazioni rese agli investigatori da Marco Zaganelli il 7/8/’97:
«Tra il 1987 e il 1989 mi chiamò una persona che conoscevo,
prospettandomi un grosso affare, perché era stato contattato da
alcuni italiani, i quali dovevano sbarazzarsi di un carico di
container fermi al porto di Castellammare di Stabia o a quello di
Gioia Tauro, contenenti rifiuti tossici o radioattivi, e volevano un
referente capace di riceverli e sotterrarli in un’area desertica
della Somalia. Successivamente seppi che un carico di materiale
radioattivo era stato portato in Somalia e i contenitori sotterrati
in un’area desertica nel Nord del Paese».
Ci sono tre nomi, e
altrettanti delitti, che si legano: Ilaria Alpi, Vincenzo Li Causi,
Mauro Rostagno. La giornalista della Rai venne assassinata insieme
all’operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio, il 20/3/1994. Vincenzo
Li Causi, uomo del Sismi (servizio segreto militare italiano), per un
certo tempo attivo presso la struttura di Gladio operante a Trapani
(il centro Scorpione), fu ucciso a Balad, in Somalia pochi mesi pra:
era il 12/11/1993. Mauro Rostagno, giornalista e fondatore, insieme a
Francesco Cardella, della comunità Saman per il recupero dei
tossicodipendenti, venne trucidato a Lenzi, nei pressi di Trapani il
26/9/1988. Questi omicidi, apparentemente senza nesso tra loro, hanno
un comune denominatore: la Somalia. Secondo quanto dichiarato ai
magistrati da Carla Rostagno, sorella di Mauro, il fratello avrebbe
visto e filmato l’arrivo a Trapani, in un aeroporto abbandonato
(già usato da un gruppo di Gladio), di velivoli militari italiani da
trasporto che scaricavano aiuti umanitari per imbarcare armi e
ripartire. Rostagno avrebbe dato copia della registrazione a
Francesco Cardella.
Tutte queste circostanze sono state confermate
da Sergio Di Cori, giornalista amico di Rostagno che ne raccolse le
confidenze nel 1988, prima che questi fosse ucciso. «Quelle armi
vanno in Somalia», gli disse con sicurezza Rostagno: «Noi stiamo
armando la Somalia mentre ufficialmente stiamo aiutando quei poveri
cristi».
Dall’inchiesta condotta dalla Procura di Torre
Annunziata, è emerso che esistevano rapporti dei servizi segreti
italiani sulla morte di Rostagno ordinati da Bettino Craxi. Copia di
essi fu ritrovata durante una perquisizione della sede romana del
gruppo craxiano Giovane Italia. Cardella conosceva l’ex segretario
del Psi; Giuseppe Cammisa, stretto collaboratore di Cardella, era in
Somalia nei giorni della morte della Alpi e di Hrovatin: Cardella
l’aveva inviato perché si occupasse di aiuti umanitari e della
costruzione di un ospedale a Bosaso.
I pubblici ministeri Antonio
Ingroia, Gaetano Paci e Francesco Del Bene vogliono capire come mai
fu ignorata, all’epoca, la testimonianza di Mauro Rostagno sui
rapporti tra mafia e massoneria (la cosiddetta Loggia Scontrino di
Trapani) e come mai non ne han fatto cenno nelle loro deposizioni, se
non di sfuggita, quando non potevano più tacere…..
Francesco
(detto “Chicco”) Cardella, è stato un personaggio controverso.
Stroncato a 71 anni da un arresto cardiaco a Managua in Nicaragua,
viveva nel paese del centro-America da quando su di lui, all’inizio
degli anni ’90, si erano allungati i sospetti che potesse c’entrare
con l’omicidio di Mauro Rostagno, che era stato proprio con
Cardella, tra i pilastri di Saman (una ventina di comunità
[business] per il recupero dei tossicodipendenti sparse in tutta
Italia e anche all’estero) che aveva una sede proprio nel
trapanese.
Sociologo, pittore, giornalista, editore di Abc, il
giornale della sinistra radicale, ma anche di giornali porno per i
quali fu anche arrestato per “pubblicazione oscena”, e poi guru
per gli Arancioni di Bhagwan Raynesh in India. Socialista convinto,
Cardella è stato molto legato a Bettino Craxi. Tanto amico da
prestargli il suo aereo personale durante la latitanza ad Hammamet in
Tunisia.
Rsp (individualità Anarchiche)
Anarchia
l’unica via
Francesco Cardella

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