Dylan Powell (e Erminia Scaglione): Il mito del progresso vegan di Israele

Dylan Powell (e Erminia Scaglione): Il mito del progresso vegan di Israele

Da Erminia Scaglione ricevo e pubblico:
Essere una voce fuori dal
coro che odia le assonanze e le somiglianze mi è sempre davvero piaciuto,
quindi vi auguro che nulla possa scalfire le vostre convinzioni, invitandovi
però a diffidare sempre e comunque delle associazioni che sostengono di rappresentarle,
non solo delle imitazioni. 
Innanzitutto perché per me,
chi non è in grado di dire o di fare la sua   singolarmente, per poi se è il caso unirsi ad
altri che cavalcano la stessa onda nell’azione, non ha niente di davvero
importante da aggiungere a una causa e non è un motore, ma una ruota e spesso
bucata e di scorta. 
Non c’è bisogno per credere
a qualcosa di farsi invischiare in tele di ragno, che sempre nascondono
insidie, malgrado il fatto di sentirsi che rassicurato dal gruppo e dal coro,
per i timidi diventa l’unico modo per riuscire ad esternare quello che credono
essere il proprio pensiero, complice un marchio accattivante, un gagliardetto,
una T-shirt o una bandiera. Cazzate!
L’unica cosa di questi tempi
in mano al capitalismo mondialista sfrenato da aggiungere è che se si perdono
di vista il valore del singolo, dell’individuo e dei propri particolarismi
analitici, si finisce per ripetere come pappagalli il messaggio di un gruppo
dietro il quale tu non sai chi c’è e perché questo qualcuno te lo fa ripetere. 
Odio gli slogan, detesto i
manifesti, mi fanno abbastanza schifo pure le divise, soprattutto quelle
mentali, odio le etichette. Un esempio? Credo nel vegetarismo come pratica
nella mia di vita e non nelle sue implicazioni pseudo-politiche dietro alle
quali abili burattinai israeliani nascondono l’intenzione di consacrare
l’entità illegale sionista come tempio del Vegan e del cruelty-free.
Paradossale?

 

Si per degli assassini
seriali suprematisti e razzisti eppure succede. E soprattutto c’è pure chi,
complice la sua pigrizia o forse la sua paura di dispiacere gli altri membri
del “gruppo” si rifiuta di discuterne in senso sistematico le
storture e le manipolazioni. Ma c’è molto di più una contraddizione in termini
che è alla base di questa campagna di Green-Washing che non è un particolare
irrilevante.
Allego la traduzione di
questo articolo molto interessante:
IL MITO DEL PROGRESSO VEGAN DI ISRAELE
Israele il è davvero paese “più Vegan”[1] del mondo? Secondo
associazioni che vanno dal PeTA, Mercy for Animals, Farm, 269life, dXe, Sea
Shepherd ed un gran numero di altre associazioni di militanti e organizzazioni
di difesa dei diritti degli animali nel mondo la risposta è: SI.
Si ritiene che Israele ospiti un 4% di popolazione vegan,
il Vegan fest a Tel Aviv, attira una folla di ben 15.000 persone, la catena di
Pizzerie Domino offre una pizza Vegan nel suo Menu, e l’IDF (Israeli Defense
Force), offre parimenti opzioni vegan ai suoi soldati nelle mense delle caserme[2].
Dunque Israele dovrebbe essere la “Terra Promessa” dei
Vegani.
Ma questo consenso non è unanime però. Gli attivisti
delle associazioni di solidarietà ai Palestinesi ed anche molti Vegani, messi
davanti a questa narrativa hanno puntato il dito indicando che si assisteva ad
un’operazione di “Greenwashing” dello Stato di Israele e dell’Occupazione della
Palestina.
Articoli come: “Israel’s
Killer Vegans”[3] di Electronic Intifada, “Vegan
Killers: Israeli Vegan Washing and the Manipulation of Morality”[4] “Shooting an Elephant”[5] e “Animal Liberation Against Israeli Occupation: We Stand
With Palestine”[6] sono
esempi egregi che contrastano la costruzione narrativa che vuole dipingere
Israele come un paradiso vegano. 
Tutti questi articoli trattano seriamente
il cercare di fare capire l’occupazione in un contesto più ampio concludendo
che è impossibile separare le cosiddette politiche progressiste del veganismo
in Israele con l’occupazione stessa.
Questo è importante perché tutti questi
articoli illustrano le ragioni per le quali anche se tutta la popolazione di
Israele fosse vegana, l’occupazione della Palestina rimarrebbe comunque senza
una giustificazione valida, e questo non lo ripeterò mai abbastanza.
Tuttavia, tutte le facce di questo dado, si dimenticano
di un punto importante della questione e cioè che l’aumento del numero dei
vegani in Israele è di per se stesso una bugia … Una manipolazione intenzionale
che utilizza parametri di confronto con le regioni in cui esiste il numero
maggiore di gran mangiatori di animali incensandoli come “vegan”.
Che significa dunque consumo di carne pro capite? È il
consumo di carne totale di un paese calcolato in base alla media tra la sua
quantità ed il numero della sua popolazione, per anno. Il consumo pro capite di
carne non è mai stata una statistica bene accetta in Occidente, soprattutto
quando si confronta con la qualità in senso migliorativo delle nostre politiche
per i diritti gli animali. Perché? Perché di fronte alla difesa dei diritti, e
anche se le popolazioni vegane sono marginali, le nostre società consumano
ancora quantità massicce di prodotti di origine animale.
E allora per voi dove si piazza Israele quando si tratta
di fare una classifica di consumo di carne pro capite per anno?[7] Ebbene, sta vicino
alla vetta dell’elenco. Gli israeliani infatti consumano 102 kg pro capite
all’anno – che è più del Canada (che ne consuma 92), più che nel Regno Unito
(che ne consuma 82), ben al di sopra di qualsiasi altro paese della regione e
ben al di sopra della media mondiale (che ne consuma 42) e della media della UE
(che ne consuma 82). Ma quali sono quei pochi paesi al mondo che mangiano più
carne di tutti pro capite all’anno? Sono gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda,
l’Austria e l’Australia. Ebbene sì, è proprio questo lo scenario della zona
d’ombra nella quale gli animalisti stanno celebrando uno dei paesi in cui il
consumo di carne è più alto, come un paese “vegano”.
Ma per caso il consumo di carne di Israele almeno sta
diminuendo? La risposta è NO. La tendenza al contrario sta salendo ed in scala
esponenziale. Infatti nel 2000 il consumo di carne pro capite ad Israele aveva
una media sotto i 70 kg per anno ed invece nel tempo è cresciuta ad un tasso
più elevato che in qualsiasi altro paese del mondo. E anche se il consumo di
carne scendesse di 30 kg in un anno, cosa assolutamente inaudita, gli
israeliani sarebbero comunque ancora ben al di sopra della media mondiale, i
primi della loro regione, e soprattutto anche sopra i loro stessi livelli di
consumo nel 2000.
Ma come può essere possibile questo? Piccole minoranze di
una popolazione influiranno con il loro modo di vivere in maniera trascurabile
se la stragrande maggioranza sta aumentando il suo consumo di carne. Questa è
una realtà che vale per Israele così come in USA, Canada, UK, o davvero
qualsiasi altro paese del mondo, che vanti una popolazione vegana. I vegani
sono infatti sistematicamente impegnati nella promozione che diventare
completamente vegetariani salverà “vite di animali” e dare rilievo a
statistiche dell’incremento della popolazione Vegan piuttosto che sul consumo
di carne pro capite per anno è il risultato di questo tipo di menzogne. Israele
non è altro che l’ultimo esempio di quanto questo meccanismo sia assurdo.
Quest’epica narrativa è molto in voga anche per altri
motivi. E cioè perché molti movimenti che promuovono i diritti degli animali supportano
sia il Sionismo che lo Stato di Israele e quindi il mito dell’incremento dei
Vegan in Israele dà una spintarella a questa posizione. In termini più
generici, Israele è attualmente un palcoscenico mondiale per un conflitto di
più ampio raggio sul tema dei diritti degli animali, tra quelli che vogliono
continuare a portare avanti a spada tratta la priorità del tema anti-specista
sopra ogni cosa e tutti quegli altri che invece dalla parte opposta vorrebbero
piazzare la difesa degli animali in un contesto di giustizia sociale
complessiva. Se l’aumento del numero degli individui sensibili alla causa Vegan
risulterà essere un argomento convincente come lo è di norma, questi stessi
militanti anti-specisti avranno tutte le cartucce che gli servono per mettere a
tacere ogni tipo di critica sull’espansione delle colonie, sul suprematismo
bianco, discriminazione nei confronti dei disabili, trans-fobia e misoginia e
via dicendo all’interno della loro stessa comunità.
Finché potranno fare conto su una comunità vegan in
crescita da promuovere, potranno scrollarsi di dosso ogni tipo di appello a
costruire coalizioni contro l’entità sionista o a porsi domande
sull’oppressione all’interno di un movimento elitario. Questo è il motivo per
cui una serie di organizzazioni a difesa della causa animale e delle persone
che altrimenti non si sarebbero mai ritrovate nella stessa stanza insieme si
sono riuniti per una coalizione a sostegno del mito del progresso vegan in
Israele. E tutte le vecchie ferite e le battaglie per il benessere/per i
diritti/e per le abolizioni hanno lasciato il posto nella comunità a questo
nuova causa.
Ma che cosa è andato perso dunque in questo processo? Beh
al momento proprio il progresso della causa animale. Mentre tutti erano ultra-occupati
a celebrare l’aumento del numero dei Vegani in Israele, il consumo della carne
in Israele continua e non accenna a diminuire. Così come lo stile di attivismo
di 269 life è stato esportato in Nord America attraverso Direct Action
Everywhere (dXe) e i suoi organizzatori lo hanno fatto esibire in tournée nella
stessa facendosi forza del progresso vegan di Israele come modello di militanza,
assistiamo alla stessa tendenza anche qui. La battaglia per la creazione della
più grande, ma più isolata ed inefficace “comunità vegan” rappresenta la fiera
dell’inutilità.
Che ne è infine dei “barbari” all’interno di questa mitologia
del progresso vegan? Che ne è dei Palestinesi che affrontano l’apartheid come
realtà quotidiana ed al contempo le ondate di aggressioni militari? Il consumo
di carne in Palestina chiaramente è regolato così come Israele controlla i suoi
confini, ma è importante notare come questi non civilizzati (meglio dire ancora
non conquistati) autoctoni mangino appena 25 kg di carne pro capite per anno[8]. Vi sembra strano?
Beh, in Libano ne mangiano 43, in Egitto 28, in Giordania 46. L’unico paese del
Medio Oriente che sta vicino alla media israeliana è il Kuwait con un consumo
pro-capite di 87 kg. La maggior parte degli abitanti della regione dello Sham
restano ben al di sotto di queste percentuali. A che punto quindi dovremmo
investigare sul mito del progresso vegan come una forma di islamofobia?
Se Israele è davvero il “paese più vegan del Mondo”, beh,
allora i militanti di questa causa dovrebbero davvero interrogarsi su che cosa
significa davvero veganismo e soprattutto perché è importante. Se invece questo
termine può essere così facilmente reindirizzato ed usato come scusa per un
genocidio umano e per l’apartheid forse è tempo di una riflessione sui propri
obiettivi, sulle proprie strategie e soprattutto sull’efficacia delle stesse.
@dylanxpowell /
[email protected]
FINE
DELL’ARTICOLO DI DYLAN POWELL
Aggiungo anche
un altro episodio occorsomi ieri, per capire come diventa facile farsi
abbindolare…
Un amico,
ingenuo, perché ancora ancorato alle logiche del partito a cui appartiene, mi
ha presentato il blog degli Anti-fa anti-specisti e vegani come una pagina
seria anti-fascista e anti-imperialista[9]
Dopo
un’occhiata superficiale mi sono accorta che questi sedicenti anti-imperialisti,
parlano di fascismo celato di alcune organizzazioni cattoliche anti-speciste
criticandolo, ma mai della truffa che vi ho appena illustrato di Israele, “lo
stato più Vegan del mondo”. E sapete perché?
La risposta è
semplice, malgrado ci siano gruppi di Anti-fa che si dichiarano pro-palestinesi
tutti però non esitano da 4 anni a farsi i vettori della insana politica della
NATO e dei warmongers contro la Libia
del povero Gheddafi e la Siria di Bashar Al Assad, con la solita scusa che si
tratta di feroci dittatori[10],
naturalmente senza alcuna riflessione sul fatto che questo lo sostenga la
Clinton, Laurent Fabius o Cameron senza dimenticare Benjamin Netanyahu ed il
suo pony express Bernard Henry Lévy[11]
Insomma il massimo della coerenza in senso anti-imperialista e soprattutto
anti-specista e anti-razzista[12]
pensando agli israeliani. 
 

Non solo ma
questi gruppi hanno contribuito attivamente ad etichettare come fascisti e
nazionalisti[13] tutti
coloro che si opponevano attivamente alle politiche colonialiste dei Neocons bollandoli come fascisti o
militanti di estrema destra e noi sappiamo che così non è. 
C’è chi non
vuole capire perché questi gruppi si muovano unidirezionalmente, ma se si scava
sotto la crosta e un pochino sul web quello che esce fuori è che questi gruppi
si affannano nella denuncia di fascisti immaginari e non, tutti protesi nella
negazione che il sionismo essendo un nazionalismo etnocratico suprematista sia
la forma più estrema di fascismo che possa esistere[14],
quindi non fatevi abbindolare.  
Non ci si può
dichiarare anti-imperialisti se si portano avanti le politiche della Nato e se
si partecipa alla fiera della menzogna per conto di Israele e delle politiche
imperialiste occidentali[15].
Vi faccio un altro esempio che coinvolge militanti Anti-Fa del NPA, Nouveau
Parti Anticapitaliste in un’aggressione ad un corteo elettorale del partito
antisionista che promuoveva la candidatura di Dieudonné[16],
naturalmente a braccetto con la Ligue de la Défense Juive e soprattutto sotto
gli occhi della polizia che come al solito non interviene.
Quello che mi
impressiona della testimonianza video di questo episodio sintomatico è a parte
il fatto che il gruppo di Anti-fa (LDJ), fosse armato, (barre di ferro, pugni
di ferro e spray lacrimogeni), ed attaccasse gente inerme con dei volantini in
mano incluse le donne. E soprattutto il contrasto evidente tra il gruppo
composto di ragazzetti nerboruti e palestrati bianchi, con dall’altra parte
della barricata un insieme di persone di ogni razza, religione, colore e
cultura. Antifas = fausse
opposition au service des banques? Cherchez l’erreur[17].
Non parliamo
poi del leader del NPA Olivier Besancenot che scoppiò in lacrime alla TV
nazionale davanti all’abituale accusa di comodo di antisemitismo di Roger
Cukierman[18]
presidente del Conseil
Représentatif des Institutions juives de France (CRIF)[19],
di cui vi invito di leggere il curriculum vitae per capirne la matrice oltre al
fatto di ricordarvi che rappresenta l’organo sionista di interferenza più
importante sulla politica interna della Francia a prescindere dal partito che
la rappresenta. Una bella figura di merda come militante della causa
palestinese non vi pare?[20]
Concludo senza
alcuna paura per gli strali che mi arriveranno da chi come me ha certe
convinzioni ideologiche, ma contrariamente a me preferisce l’appartenenza alla
truppa di militanti che si fanno manipolare perché la ribellione non è omologazione, e perché
la simbologia o l’araldica servono solo per diventare parte ignara o meno di
guerre per procura ed a trasformarsi in pedine su uno scacchiere che sono
giocate da altri.
Io non sono
questo e non sono quello, sono solo Erminia, unica ed indivisibile e
rappresento solo me stessa quando parlo. Posso essere un’amica fidata, ma mai
un commilitone perché a stare intruppata non ci riesco, quindi prendetevi quel
che c’è, non ho bisogno dell’etichetta di anti-fa per detestare ogni forma di
fascismo ed il sionismo che è il fascismo all’ennesima potenza.
E se non
rispondo ai canoni della definizione che mi si vuole affibbiare, beh, davvero
poco mi importa e sta proprio in questo la mia ribellione individuale come
essere pensante.
Non
affannatevi a cercarmi costumi da orco cattivo, o da principessa buona rapita nel
castello, non sono un burattino e di piacere agli altri o dispiacergli non me
ne importa proprio nulla, quello che a me interessa è non farmi bidonare da
falsi ribellismi di facciata che servono l’impero e che gli sono funzionali.
E che di
recitare a memoria quel che vorrebbero altri, per riuscire ad inquadrarmi indi
rapportarsi a me con un criterio rassicurante in senso consumistico, mi
interessa alla stessa maniera e soprattutto quanto, mi fa piacere giornalmente
pulire la lettiera dei miei gatti… 
Meglio essere
come lupi solitari intellettualmente e cioè magnifiche fiere che possono vivere
anche in branco, ma sempre alla macchia. Anche perché preferisco fare una
brutta fine da lupo che una brutta fine da pecora….

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