PRIEBKE: UN GIORNO DIREMO “CHI ERA COSTUI?” (La Stanza di Montanelli del 26 agosto 1996)

Vignetta del 1996 di Giorgio Forattini
PRIEBKE: UN GIORNO DIREMO “CHI ERA COSTUI?”
(La Stanza di Montanelli del 26 agosto 1996):
Caro
Montanelli Sono anch’ io un congiunto di un martire delle Fosse Ardeatine,
tenente di Vascello Agostino Napoleone, cugino carissimo, figlio di un fratello
di mio padre. Tuttavia, la notizia che un individuo assolto da un tribunale
dello Stato possa finire in galera a seguito di trattative tra un ministro ed i
rappresentanti di una, ancorche’ molto rispettabile, comunita’ etnico
religiosa, mi fa semplicemente inorridire. Mi pare che si possa dire: di male
in peggio, almeno sotto questo aspetto l’Italia di Flick non sembra migliore di
quella di Grandi e Zanardelli. Lei cosa ne pensa? Piero Napoleone, Milano
Caro avvocato, Mi ero giurato di non
tornare mai piu’ su questo caso che mi mette, come cittadino italiano, in grave
disagio. Ma non posso lasciare senza risposta la lettera di una persona che,
pur avendo pagato pedaggio alle Fosse Ardeatine, sa parlarne con tanto
equilibrio e distacco. Ma le diro’ una cosa che la sorprendera’ piacevolmente
come piacevolmente ha sorpreso me: che fra le tante altre di pieno consenso da
me ricevute su questa vicenda (e ce ne sono di molto belle), una sola dissente,
e con argomenti che non mi sembra il caso di contestare, tanto sono stati gia’
dibattuti. Questo mi ha molto rianimato perche’ dimostra che, accanto all’ Italia
che abbiamo visto in piazza e letto sui giornali, rappresentata da una classe
politica (a cominciare da un Presidente dalla Repubblica che pure si vanta ad
ogni pie’ sospinto del suo passato di Magistrato) codardamente pronta a farsi
eco della “Giustizia del popolo” fino ad interferire d’ autorita’ in
quelle dei tribunali, ce n’ e’ anche un’ altra che sa pensare con la sua testa
e sa restare fedele ai principi dello Stato di Diritto. Quanto e’ vasta, questa
Italia? Non lo so. Ma forse anche quella di una risicata minoranza, basta a
ripagare la fatica di darle voce. Ora questa minoritaria Italia mi chiede,
quasi all’unanimita’ , come si risolvera’ questo caso. Non lo so. Ma,
conoscendo i miei polli, credo di poterlo immaginare. Non sapendo come
districarsi da questo processo (com’ era chiaro che sarebbe avvenuto prima
ancora che cominciasse), questa povera Giustizia italiana sopraffatta da una
forza politica a sua volta sopraffatta dagli umori della piazza, si affidera’
al tempo prolungandolo all’ infinito con ricorsi, appelli,
“comparse”, lasciando Priebke dov’ e’ , senza specificare se ci si
trova da prigioniero o da ospite e trasformando a poco a poco il suo processo
in quello di Kafka che piano piano seppellisce l’ imputato sotto un cumulo di
carte fino a cancellarne il ricordo nella memoria della gente. Un giorno i
nostri figli sapranno che un certo Priekbe e’ morto al Celio o in qualche
sperduto villaggio del Tibet dov’ era stato portato dalla moglie che lo aveva
“rubato” nascondendolo in una valigia. E chiederanno: “Ma chi
era costui?”. Non vedo altra soluzione compatibile con la spina dorsale di
una Giustizia e di una classe politica come le nostre. Che vergogna!
Pagina 26
(26 agosto 1996) – Corriere della Sera

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