Per la libertà di ricerca, contro Anna Foa

Per la libertà di ricerca, contro Anna Foa

Torniamo sulle polemiche, ancora d’attualità, riguardanti la ventilata legge antirevisionista. Dopo l’iniziale gara di piaggeria dei vari politicanti, in particolare romani, nei confronti del solito Pacifici, sono apparsi sui media alcuni autorevoli interventi di segno contrario. In particolare, l’articolo di Angelo d’Orsi di qualche giorno fa[1], apparso originariamente sul Fatto Quotidiano, sembra aver messo a tacere i sostenitori della legge bavaglio

La sensazione è che il richiamo al principio della libertà di parola (art. 21 della Costituzione) abbia fatto breccia nell’opinione pubblica. Ma, questo il punto che vorrei evidenziare ora, la questione del revisionismo non attiene solo la libertà di parola ma anche quella di ricerca e di insegnamento. Alcuni soliti noti infatti, pur dichiarandosi contrari alla legge bavaglio, hanno chiesto l’allontanamento del prof. Moffa dall’insegnamento e la messa al bando delle tesi “eretiche” non solo dalle cattedre[2] ma anche dai giornali[3].

Pressioni del genere sono ancora più riprovevoli quando vengono da una storica di fama come Anna Foa (foto). E allora ricordiamo, a lei e ai suoi congeneri, che non sono solo i cittadini ad aver diritto ad una generica libertà di parola ma anche gli storici – e quindi i docenti – ad aver diritto alla libertà di ricerca, come puntualizzarono, il 13 Dicembre 2005, 19 storici francesi di chiara fama (poi diventati 444 nelle settimane successive)[4].

In Italia, la libertà degli storici, e quindi dei docenti, è garantita dall’art. 33 della Costituzione.

Per fortuna, contro le pressioni suddette ha preso posizione nei giorni scorsi un altro contemporaneista di fama: Aldo Giannuli (“Il punto è un altro: oggi si chiede a gran voce di buttare fuori Moffa dall’università. Dico subito che non sono affatto d’accordo perché mi sembra un modo surrettizio (e un po’ democristiano) per far passare in altra forma la legge antinegazionismo”)[5].

Detto questo, e dato atto a d’Orsi e a Giannuli delle loro meritorie, e non scontate, precisazioni, passo a esporre ciò che non condivido del loro discorso. Il concetto di “tribunale ideale degli storici” espresso da d’Orsi – quegli storici cui il detto studioso attribuisce la titolarità del “grande edifico della conoscenza storica”e ai quali in via esclusiva, a quanto pare, spetterebbe “l’acclaramento e la difesa della verità” – suona tanto di arroccamento corporativo. Ricordiamo allora a d’Orsi quanto scrissero gli storici francesi suddetti in un successivo comunicato del Gennaio 2006 (devo quest’informazione ad Alessandra Colla):

“La storia non è proprietà esclusiva degli storici. Tutto il contrario. Questo appello chiede libertà per la storia: non per gli storici. La storia non appartiene a loro più di quanto appartenga ai politici”[6].

Quanto a Giannuli, se quelle di Moffa sono “bestialità negazioniste”, l’esimio professore ci dovrebbe spiegare in che cosa le affermazioni di Moffa sarebbero “bestiali”. Mi riferisco in particolare all’articolo Oltre il muro: e se si parlasse di storia?[7], pubblicato da Moffa due giorni fa. Mi sembra che le considerazioni ivi espresse siano assolutamente piane e niente affatto estremiste. L’unica imprecisione che vi ho riscontrato è quella relativa alla mancanza dei “resti degli edifici” (di gasazione, ad Auschwitz). In realtà, i revisionisti sostengono al riguardo non che manchino i resti ma che tali resti non hanno le caratteristiche delle “camere a gas omicide” descritte a suo tempo dai (sedicenti) testimoni oculari: sono solo le rovine di normali camere mortuarie. In particolare, esse sono irrimediabilmente prive, nonostante le arrampicate sugli specchi degli sterminazionisti per identificarli, dei fori di introduzione per lo Zyklon B narrati dai testimoni.

Per questo, gli storici di regime come Anna Foa hanno il ter-ro-re che discorsi del genere vengano fatti in ambito accademico. Hanno paura del contagio. I precedenti internazionali del caso Moffa sono lì a ricordarcelo, a cominciare da quello dello storico militare neozelandese Joel Hayward e della sua fatidica tesi di dottorato del 1993: The Fate of Jews in German Hands[8], in cui lo studioso faceva proprie alcune conclusioni fondamentali del revisionismo olocaustico – e che costò al diretto interessato una persecuzione durata anni[9].

Per concludere, ecco la traduzione dell’ormai storico appello degli storici francesi citato in precedenza[10]

L’APPELLO DEI 19 STORICI: “LIBERTÀ PER LA STORIA!”

Una petizione firmata da 19 storici chiede l’abrogazione degli articoli di legge che coartano la ricerca e l’insegnamento di questa disciplina:

Turbati dagli interventi politici sempre più frequenti nella valutazione degli avvenimenti del passato e dai procedimenti giudiziari nei confronti di storici e di pensatori, noi teniamo a ricordare i seguenti principi:

. La storia non è una religione. Lo storico non accetta nessun dogma, non rispetta nessun divieto, non conosce tabù. Può essere seccante.
. La storia non è la morale. Lo storico non ha il compito di esaltare o di condannare. Egli spiega.
. La storia non è schiava dell’attualità. Lo storico non applica al passato degli schemi ideologici contemporanei e non introduce negli avvenimenti di un tempo la sensibilità di oggi.
. La storia non è la memoria. Lo storico, in modo scientifico, raccoglie i ricordi delle persone, li confronta tra loro, li confronta con i documenti, con gli oggetti, con le tracce, e stabilisce i fatti. La storia tiene conto della memoria, non si riduce ad essa.
. La storia non è un oggetto giuridico. In uno Stato libero, non spetta né al Parlamento né all’autorità giudiziaria di definire la verità storica. La politica dello Stato, anche se animata dalle migliori intenzioni, non è la politica della storia.

È in violazione di questi principi che dei successivi articoli di legge, in particolare le leggi del 13 Luglio 1990, del 29 Gennaio 2001, del 21 Maggio 2001, del 23 Febbraio 2005 hanno ridotto la libertà dello storico, dicendogli, sotto pena di sanzioni, quello che deve cercare e quello che deve trovare, prescrivendogli dei metodi e ponendogli dei limiti.

Noi chiediamo l’abrogazione di queste disposizioni legislative indegne di un regime democratico.

Jean-Pierre Azéma, Elisabeth Badinter, Jean-Jacques Becker, Françoise Chandernagor, Alain Decaux, Marc Ferro, Jacques Juillard, Jean Leclant, Pierre Milza, Pierre Nora, Mona Ozouf, Jean-Claude Perrot, Antoine Prost, René Rémond, Maurice Vaïsse, Jean-Pierre Vernant, Paul Veyne, Pierre Vidal-Naquet e Michel Winock.

Le leggi di cui nel detto appello si chiedeva l’abrogazione sono:

La legge del 13 Luglio 1990 contro il revisionismo olocaustico (più conosciuta come legge Gayssot o Lex Faurissonia).
La legge del 29 Gennaio 2001 relativa al riconoscimento del genocidio armeno del 1915.
La legge del 21 Maggio 2001 relativa al riconoscimento della tratta dei neri e dello schiavismo come crimini contro l’umanità (detta legge Taubira).
La legge del 23 Febbraio 2005 sui rimpatriati, il cui articolo 4 stabilisce che “i programmi scolastici riconoscono in particolare il ruolo positivo della presenza francese oltremare, in particolare nell’Africa del Nord”.

[1] http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/4923-chi-vuole-la-verita-per-decreto.html
[2] Vedi Tobia Zevi (ATTENZIONE A NON FAVORIRE I NEGAZIONISTI, in Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2010, p. 13).
[3] Vedi Anna Foa (CONTRO IL NEGAZIONISMO NON PUÒ BASTARE UNA LEGGE: http://www.avvenire.it/Commenti/editoriale+foa+negazionismo+shoah_201010180839391770000.htm ).
[4] http://www.ldh-toulon.net/spip.php?article1086
[5] http://www.aldogiannuli.it/?p=1234&cpage=1
[6] Il testo completo in francese di questo comunicato è disponibile al link citato in nota 4. La traduzione italiana è disponibile sul blog di Alessandra Colla: http://www.alessandracolla.net/?p=483
[7] http://www.claudiomoffa.it/
[8] http://www.resistance.com/Hayward/hay1.html
[9] Qui il relativo dossier: http://www.vho.org/aaargh/engl/hay/hayindex.html
[10] Qui si possono trovare interessanti ragguagli sull’eco suscitata a suo tempo dal detto appello in Italia: http://lanostrastoria.corriere.it/2008/10/leggi-della-memoria-dalla-fran.html

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