Il dubbio di Orwell

Il dubbio di Orwell

Nel 1945 George Orwell scrisse un saggio molto importante: Note sul nazionalismo (Notes on Nationalism). In Italia è stato tradotto, con il titolo di Appunti sul nazionalismo, e stampato nella raccolta Nel ventre della balena e altri saggi, pubblicata da Sansoni nel 1988.

A p. 120 di tale edizione, a proposito della deportazione degli ebrei, Orwell così si esprime:

“Molti inglesi non sanno praticamente nulla dello sterminio degli ebrei tedeschi e polacchi durante la guerra in corso. Il loro antisemitismo fa sì che questo crimine immane non intacchi le loro coscienze.”

Lo scrittore inglese sembra quindi uno sterminazionista convinto. Le cose però non sono così semplici. Nella pagina successiva, ecco cosa scrive sulla propaganda bellica della seconda guerra mondiale:

“L’indifferenza nei confronti della verità oggettiva viene incoraggiata dai compartimenti stagni nei quali il mondo è diviso, il che rende sempre più difficile scoprire ciò che in realtà sta accadendo. Si possono spesso nutrire seri dubbi sugli avvenimenti più atroci. Ad esempio, è impossibile calcolare i milioni, forse decine di milioni di morti causati dalla guerra in corso. Le calamità che vengono continuamente riportate – battaglie, massacri, carestie, rivoluzioni – tendono a infondere nella gente un senso di irrealtà. Non c’è modo di verificare i fatti, non è certo neppure che accadano; si deve sempre fare i conti con interpretazioni e fonti diametralmente opposte. Dove sta il torto e la ragione nell’insurrezione di Varsavia dell’Agosto 1944? Ci sono forni a gas [gas ovens] tedeschi in Polonia? Di chi è la colpa per la carestia nel Bengala? Probabilmente è possibile risalire alla verità ma gli eventi sono presentati in modo così disonesto da quasi tutti i giornali che al lettore medio si può perdonare sia il trangugiare bugie sia il formarsi errati convincimenti”.

Il fatto che Orwell parlasse di “forni a gas”, dando evidentemente a tale espressione un’accezione criminale (intendendo la gasazione di esseri umani), dimostra che la propaganda dei vincitori ha giocato sull’equivoco fin dall’inizio. E’ vero infatti che in Polonia, nei campi nazisti, c’erano “forni a gas” ma solo nel senso che i forni crematori di Auschwitz erano riscaldati a gasogeno (utilizzando come combustibile il carbon coke: http://vho.org/GB/Books/dth/fndcrema.html).

Gli storici, anche quelli sterminazionisti, sanno distinguere tra “forni crematori” e “camere a gas” ma la gente comune no, e il ruolo dei giornalisti è proprio quello di perpetuare la confusione. Il modo di presentare i fatti, quando si parla di “Olocausto”, è disonesto esattamente come 60 anni fa.

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