Uno storico articolo di Ditlieb Felderer sul falso testimone Miklos Nyiszli

Uno storico articolo di Ditlieb Felderer sul falso testimone Miklos Nyiszli

LO SMASCHERAMENTO DEL DR. MIKLOS NYISZLI

Di Ditlieb Felderer (1979)[1]

DICHIARAZIONE

Io, il sottoscritto dr. Miklos Nyiszli, medico, ex prigioniero nei campi di concentramento tedeschi, dichiaro che questo libro, che riguarda i giorni più oscuri nella storia del genere umano, è stato da me scritto in assoluta conformità alla realtà, e senza la minima esagerazione, nella mia posizione di testimone oculare e di collaboratore involontario dei crematori di Auschwitz, nelle cui fiamme scomparvero milioni di padri, madri e bambini.
Come medico capo dei crematori di Auschwitz ho redatto numerose dichiarazioni giurate riguardanti autopsie e referti di medicina legale, che ho firmato con il mio numero di tatuaggio. Ho inviato questi documenti per posta, controfirmati dal mio superiore, il dr. Mengele, alla sede di Berlino dell’”Institut für Rassenbiologische und Anthropologische Forschungen”, uno dei più qualificati centri di medicina del terzo Reich. Dovrebbe essere ancora possibile trovare tali documenti negli archivi di questo istituto di ricerca.
Scrivendo questo libro non cerco il successo letterario. Quando vivevo in mezzo a questi orrori, che oltrepassano ogni immaginazione, non ero uno scrittore ma un medico. Oggi, mentre li descrivo, non scrivo come
reporter ma come un dottore.
Scritto a OradeaNagyvarad, Marzo 1946.
Firmato: dr. Miklos Nyiszli.[2]

Nessuno studioso della teoria sterminazionista può fare a meno di notare l’enorme importanza riservata al mediconzolo dr. Nyiszli nella letteratura e nella teologia sterminazionista. Reitlinger, Hilberg, Langbein, Broszat e tutto gli altri luminari dello sterminazionismo hanno costruito la loro esile trama sul mito di Nyiszli. Egli è la pezza d’appoggio degli articoli dell’Encyclopedia Judaica, il cocco dell’Institut für Zeitgeschichte, della gerarchia del Museo di Auschwitz e della Commissione per l’Indagine sui Crimini Nazisti in Polonia. L’ultima impresa letteraria di questa commissione è stata il libro intitolato Obozy hitlerowskie na ziemiach polskich 19391945 (679 pagine), dove però gli autori non menzionano il loro testimone principale nella loro bibliografia (o forse erano troppo imbarazzati per farlo sapendo che si trattava di un bluff).
Può essere detto senza esagerazione che senza Nyiszli la Teoria Sterminazionista è perduta. Considerando la sua importanza abbiamo quindi deciso di indagare su quest’uomo per quanto potevamo, e la nostra ultima visita ad Auschwitz ci ha fornito l’opportunità di chiedere informazioni su di lui ai funzionari competenti. Abbiamo detto loro che avremmo desiderato che ci mostrassero tutti i dati disponibili su Nyiszli. “Egli ha mai visitato Auschwitz dopo la liberazione?”. RISPOSTA: “No”. “Vi sono fotografie di lui o della sua famiglia?” RISPOSTA: “No”. “Il manoscritto originale del suo libro si trova ad Auschwitz?” RISPOSTA: “No”. “Sapete dove vive adesso?” RISPOSTA: “No”. “E’ mai esistito quest’uomo?” RISPOSTA: “Non lo sappiamo”. L’intero establishment di Auschwitz aveva dimenticato di fare dei controlli su quest’uomo, che è pur sempre la loro vera superstar. Alla fine la signora Smolen, la moglie separata del signor Smolen, ha cercato di aiutarci. Ella ha riesumato qualche appunto su Nyiszli ma si trattava di materiale che già avevamo.
Più tardi, la questione-Nyiszli è venuta fuori di nuovo. Questa volta durante la nostra seduta con tre altri funzionari di Auschwitz: Czech, Piper e Szymanski. Szymanski non poteva soffrire la nostra presenza poiché ne aveva già avuto abbastanza di noi quando scoprimmo il suo bluff nel 1978, ed ora, quando gli abbiamo rinnovato il nostro cortese invito a fare un giro per il “Museo” per mostrargli le falsificazioni che essi avevano compiuto, non ci ha potuto più sopportare e perciò, dopo un bel po’ di agitazione e di frustrazione, se n’è andato.
Abbiamo quindi posto a Czech e a Piper la domanda seguente: “Possiamo fare affidamento sulle informazioni di Nyiszli ed è costui una persona realmente esistita?”
Sulla scrivania di Czech (la nostra seduta è iniziata nel suo ufficio) stava una copia alquanto logora del libro di Nyiszli in polacco. Tra i suoi libri è difficile trovarne qualcuno che mostri più tracce d’uso di questo. Nei suoi riferimenti alle varie pubblicazioni su Auschwitz ella cita spesso Nyiszli. Avendo discusso l’argomento con la Czech, Piper ci ha assicurato che si tratta di un testimone attendibile, sebbene entrambi non siano sicuri che egli fosse veramente un “dottore”.
Avendo ricevuto quindi questa precisazione abbiamo poi chiesto loro se potevano accettare la dichiarazione di questo testimone secondo cui lo “spogliatoio” [della “camera a gas”] era lungo 183 metri (secondo Nyiszli la “camera a gas” aveva le stesse misure: un altro errore lampante…).
A questo punto Piper è arrossito mentre il viso già pallido della Czech (ella è un’incessante fumatrice) è diventato ancora più pallido. La cortina era caduta – il dottore era stato sbugiardato proprio davanti ai loro mentori. Questi funzionari hanno capito che non potevamo essere presi per il naso perché avevamo già le misure corrette del locale in questione, circa 30 metri per la “camera a gas”, o “spogliatoio”, come qualcuno vuole chiamarla.
Non possiamo addentrarci in tutti gli errori di Nyiszli. Molti sono così inverosimili che ci si chiede come vennero inseriti senza essere corretti dai veri autori della storia, e correggere tutti gli errori del libro richiederebbe un altro libro. Da Butz e da Rassinier apprendiamo che neppure le varie edizioni e traduzioni concordano tra loro,[3] e Stäglich fornisce ulteriori informazioni sull’imbroglione. Il nostro studio si basa sull’edizione del libro citata nella nota 2.
La prima osservazione da fare è che non siamo mai sicuri a quali luoghi Nyiszli si riferisca.
Diverse sue osservazioni ci fanno venire il dubbio se egli davvero si riferisse ad Auschwitz e a Birkenau, o se gli episodi in questione accaddero in un campo di concentramento sovietico. Il meglio che possiamo fare è congetturare sui luoghi cui la storia potrebbe riferirsi. Prendiamo per esempio la sua affermazione (p. 104) che il campo delle donne ungheresi si trovava a tre chilometri di distanza dal Crematorio 1, dove lui abitava (p. 61, p. 73). Ora, come chiunque può verificare, il solo Crematorio 1 che si trova a questa distanza è quello di Auschwitz. Considerando che Nyiszli vuol farci credere che egli viveva a Birkenau, quello che lui chiama Crematorio 1 dovrebbe essere in realtà il Crematorio 2 di Birkenau. In nessun modo vi sono 3 chilometri di distanza tra questo crematorio e i reparti femminili di Birkenau. Deformazioni così flagranti dei fatti ci fanno domandare se l’autore abbia mai visitato davvero Birkenau. L’autore potrebbe essere fittizio e la storia mostra chiari indizi che è stata scritta da più persone. Altrove nel libro, forse da parte di un altro autore, viene fatta l’affermazione che il crematorio distava “300 iarde” dalla rampa (p. 46). La descrizione del suo “tragitto”, come si legge da p. 103 a p. 110 è assurda, come minimo. Se il luogo in questione distava “solo poche centinaia di iarde” (p. 31), o “300 iarde” (p. 46), che bisogno c’era di tutti i camion dove “centinaia di prigionieri venivano caricati ogni giorno” (p. 31)? Mentre “centinaia di prigionieri venivano caricati ogni giorno” a p. 31, un totale di 50 camion portavano 4.000 vittime ogni sera a p. 111.
Un altro dato curioso è l’affermazione secondo cui le porte del cancello del Crematorio 1 aprivano verso l’interno.
Constatiamo invece dall’opuscolo di Brugioni e Poirier che c’era una sola porta e che questa apriva verso l’esterno.[4] Questa è un’ulteriore indicazione che è stato coinvolto più di uno scrittore, oltre al fatto che la descrizione non quadra con Birkenau.
Ci viene detto che Nyiszli scrisse al traduttore inglese affermando che lo Zyklon B era un “Geheimmittel”, una sostanza segreta che veniva trasportata in due container differenti, A e B (p. 87).
Entrambe le affermazioni sono false. Lo Zyklon B veniva venduto tranquillamente in Europa e non veniva inviato in container marcati A e B. […]

ALTRI ERRORI E STRANEZZE

Il suo “resoconto accurato” è assolutamente sorprendente. “Le selezioni prendevano mezz’ora scarsa” (p. 45). Una volta che il gas era stato introdotto, “erano morti tutti nel giro di cinque minuti” (p. 48), ma in realtà ci volevano solo “due o tre minuti” (p. 49) o “lo spazio di pochi minuti” (p. 87).
Un giorno egli vide “il gigantesco cane di Mussfeld correre nel recinto”, recinto che era caricato con una “corrente a 6.000 volt” che uccise all’istante il povero cane (p. 87). Nyiszli non sapeva che il recinto non era caricato durante il giorno e che non aveva una corrente da 6.000 volt.
Nyiszli è stato anche uno dei primi a dichiarare che lo Zyklon B veniva portato in camion camuffati da mezzi della Croce Rossa (p. 48).
“La stanza della cremazione era lunga circa 500 piedi [152.40 metri]” (p. 46). Forse poteva essere vero per un campo di concentramento sovietico ma certamente non per Birkenau.
La stanza dello spogliatoio era “lunga 200 iarde”, o 183 metri. Questo è altrettanto sbagliato come pure l’affermazione che la stanza adiacente aveva “le stesse misure” (p. 47).
Non c’erano “immense porte di ferro, ben lucidate e luccicanti allineate lungo il muro a Birkenau” (p. 46). E non c’erano neppure “porte scorrevoli” che “si aprivano automaticamente” sul posto (p. 49), e non è vero neppure che le porte dei forni si aprivano “automaticamente” (p. 51). Non sembra neppure possibile che un “sentiero di cenere” conducesse allo spogliatoio (p. 46). Nyiszli afferma poi che non solo le vittime portavano con sé i bagagli [per andare alle camere a gas] ma che le vittime spingevano le carrozzine con i neonati verso lo spogliatoio (p. 46, 138).
Mentre la ragione principale delle “selezioni” era di separare gli uomini dalle donne e dai bambini per sottoporli alle docce, Nyiszli afferma che tutti quanti andavano assieme nello spogliatoio (p. 46, 49).
Neppure alle SS era permesso stare nel crematorio senza autorizzazione(p. 46).
A p. 48 egli afferma che le SS e il Sonderkommando stavano dentro le camere a gas. A un certo punto viene detto che le SS vivevano al pianterreno del Crematorio I (p. 61). Lo stesso Nyiszli viveva al piano superiore e dalla sua finestra poteva vedere le vittime provenire dalla rampa (p. 45). Le finestre del pianterreno erano sbarrate (p. 46).
Mentre a p. 51 veniva usato un “carrello” per portare i corpi nei forni tramite un ascensore, a p. 61 viene fuori che non c’erano né carrello né ascensore.
Il personale trascinava i cadaveri nei forni caricandoli “a mano”. Nella stessa pagina leggiamo che: “per quanto riguarda le forniture di medicinali potevamo competere con il miglior magazzino di Berlino”, ma Czech, Piper, Sehn e altri affermano che c’era una totale scarsità di medicine in tutto il campo.
Nyiszli ci assicura anche che la “pira” fiammeggiante stava fuori del recinto elettrificato mentre la maggior parte delle piante da noi consultate indicano che stava dentro. Nyiszli afferma poi che l’acronimo SDG significa Sanitätsdienstgefreiter (p. 48), mentre il suo vero significato è Sanitätsdienstgrade.
L’affermazione di Nyiszli che i 4 crematori disponevano ognuno di 15 forni è parimenti sbagliata come pure quella secondo cui i medesimi forni avevano tutti delle camere a gas e degli spogliatoi sotterranei. Quello che si trovava davvero sottoterra erano delle camere mortuarie per i cadaveri: due dei crematori (i Crematori 2 e 3) avevano queste morgue sottoterra.

FANTASIE SULLE CAMERE A GAS

Esamineremo ora in modo più approfondito la straordinaria “testimonianza oculare” di Nyiszli, registrata “in accordo con la realtà” e “senza la minima esagerazione”. Abbiamo già visto diverse delle sue fantasie relative alle camere a gas.
A dispetto dell’affermazione che sarebbero state sospinte al centro [della stanza] mediante percosse e con l’aiuto di cani da caccia, le vittime “scendevano i gradini quasi allegramente”. Nel mezzo di questa stanza correvano “file di colonne”. Di fronte ad ognuna le vittime, poi, si spogliavano; facevano tutto ciò “avendo appreso che non c’era nulla da temere.” Un uomo delle SS, prendete nota, apriva allora “la grande porta scorrevole di quercia alla fine della stanza.” La folla “passava attraverso” il portone in un’altra stanza, altrettanto ben illuminata, con il bagaglio in mano (p. 47). Nyiszli dimentica qui di menzionare “i vestiboli della camera a gas” dove venivano riposti i bagagli (p. 61). A quanto pare le vittime entravano poi nella (o nelle) camera a gas, una stanza assolutamente particolare che aveva anch’essa delle colonne al centro del locale “a intervalli di trenta iarde” (27.4 metri), colonne che si “ergevano dal pavimento di cemento al soffitto”. Queste tuttavia non erano, come nello spogliatoio, “colonne di sostegno bensì tubi quadrati di lamiera di ferro, i cui lati presentavano numerosi fori, come un reticolo (pp. 47-48). Questo è falso. Prima di tutto non c’è mai stato nessuno di questi marchingegni in queste stanze, né nel Crematorio 2 né nel Crematorio 3. In secondo luogo queste stanze hanno 4 colonne di sostegno che si trovano al centro. Chiaramente Nyiszli crede che vi fossero davvero quattro dei suddetti marchingegni poiché afferma che l’”addetto” [alla gasazione] aveva con sé 4 barattoli di metallo verde, e il contenuto di uno di questi veniva “versato…nelle aperture” dei tubi metallici. Constatando che queste stanze dei Crematori 2 e 3 misurano entrambe solo 30 metri di lunghezza, ci chiediamo come potevano questi tubi, concepiti per ingannare le vittime, essere distanti 27.4 metri l’uno dall’altro. Questo vorrebbe dire che la stanza avrebbe dovuto essere lunga almeno 109.6 metri: una lunga sala, in altre parole. Parimenti erronea è l’affermazione che sopra il tetto sporgevano dei piccoli “tubi di cemento” che erano chiusi da coperchi di cemento (p. 48). Tutta questa descrizione è puramente fantasiosa. Ma è in base a questa descrizione che le autorità di Auschwitz hanno costruito il loro modellino nel Museo, al punto da cercare di far collimare con esso il tetto della “camera a gas”. E’ una disgrazia il fatto che Piper, che attualmente è il curatore del Museo, riponga la sua fiducia nelle menzogne di Nyiszli – un cumulo di menzogne evidenti a tutti – e così facendo parli della “miracolosa sopravvivenza di un pugno di ex membri del Sonderkommando”, riferendosi a questo fanfarone degno del Barone di Münchausen. E’ vero, tutti costoro – i sostenitori della teoria sterminazionista – non sono nient’altro che patenti mentitori, ma questo dovrebbe metterci in guardia di fronte alle loro restanti affermazioni.
Nyiszli, che si presume sia arrivato ad Auschwitz-Birkenau all’inizio di quella che gli sterminazionisti chiamano l’Azione Ungherese, e in un’epoca nella quale ci viene detto che non venivano risparmiati sforzi per eliminare il maggior numero possibile di esseri umani, Nyiszli dicevo, sembra – dalle sue descrizioni – che fosse finito in un centro balneare dove l’attività principale era costituita da un continuo gironzolare. Ad esempio egli passava il tempo “bighellonando” nella sua stanza al secondo piano del Crematorio 1 (p. 128). In un’altra occasione egli scrive: “Non avendo nient’altro da fare rimasi seduto sotto un piccolo pergolato non lontano dai barili della cucina (p. 131). E ancora, in un’altra occasione, egli si ritirò “nel più remoto angolo del cortile del crematorio” dove sedette “sotto un pergolato di pini” (p. 95). Nyiszli dà per certo che vi fossero alberi di pino nel Crematorio 1 (p. 39, p. 95). Anche questo sembra sbagliato. I pini stavano, e stanno ancora, vicino al Crematorio 5 (pp. 69-70) ma non ci sono prove che ci fossero pini nella zona del Crematorio 1 (o Crematorio 2, come viene definito da certuni). In ogni caso si tratta di un “campo della morte” davvero straordinario quello dove una delle sue più importanti celebrità va in giro a bighellonare e persino a spassarsela a dispetto di quello che ci viene raccontato (dallo stesso Nyiszli!) e cioè che l’intero campo era sommerso di fumo denso e pesante, insieme a un odore terribile che era avvertibile a diversi chilometri di distanza.
Nyiszli afferma che se c’erano soltanto 500 vittime designate o anche meno, esse non venivano gasate poiché le gasazioni “erano riservate per lo sterminio di numeri più importanti.” Esse venivano invece eliminate “con una pallottola alla nuca” (p. 91). Se davvero era questo il caso, perché allora ci viene detto talvolta che c’erano dei “bunker” a Birkenau, dove le vittime gasate erano alcune centinaia? Esse avrebbero dovuto essere fucilate – non gasate e così non c’era bisogno di “bunker”. Una volta, al tramonto, 60.000 donne ungheresi dal “Campo C” che vivevano – prendete nota – in “tre baracche” (in altre parole: una media di 20.000 donne per baracca) vennero portate dai “camion…nei crematori” (p. 75). Così 4 crematori potevano smaltire 60.000 persone, che a quanto pare venivano tutte cremate entro la fine della mattinata! A p. 95 l’autore ci dice che vedeva solo un camion entrare “ogni sera” con le vittime. In altri punti del libro i camion che entravano erano “numerosi” (p. 75, p. 111), e Danuta Czech ci informa solennemente: “I trasporti dei malati alle camere a gas avevano sempre luogo nel giorno di sabbath, che è di Sabato, o in giorni che rappresentavano delle festività ebraiche.[5] Per gli sterminazionisti le contraddizioni non esistono. Nyiszli sostiene anche che “diverse centinaia di cadaveri venivano ammassati davanti ai forni (p. 114). Perché ammassarli lì quando c’era una camera mortuaria sul posto (e se egli intende con questo che essi erano stati già gasati allora avrebbero dovuto essere ammassate diverse migliaia di cadaveri, non centinaia)? E come avrebbero potuto entrare nelle muffole? A p. 96 egli afferma che ci voleva mezzora per cremare 80 vittime. Considerando che c’erano 15 forni sul posto questo significa che ci sarebbero voluti solo 5.6 minuti per cremare un singolo cadavere!
E’ anche curioso notare che Nyiszli era sicuro che la sua famiglia era stata gasata. Tuttavia leggiamo nell’ultima pagina come sua moglie e sua figlia irruppero nella sua stanza dopo la liberazione (p. 158). Pensiamo che questo episodio riassuma simpaticamente la differenza tra fantasia e realtà. Molte persone pensano, o è stato loro detto, che i loro amici erano stati gasati. Nessuno in realtà venne mai gasato e qualcuno, come Nyiszli, fu fortunato a ritrovare la propria famiglia.

IL VERO NYISZLI?

Fino ad ora sulla figura storica di Nyiszli il silenzio è totale. I funzionari di Auschwitz non hanno fornito nessuna prova documentaria della loro affermazione che egli arrivò al campo il 29 Maggio del 1944.[6] Le prove, ripetiamo, mancano e il fatto che i funzionari di Auschwitz abbiano nascosto il loro testimone più importante dietro la Cortina di Ferro rende l’intera questione totalmente sospetta. Egli non è menzionato, nel libro edito da Smolen, tra i membri dello staff di Birkenau. La sola cosa che ci viene detta è che lavorò “nella stanza delle autopsie del crematorio 2”.[7] Nyiszli afferma di aver vissuto sopra la sala forni del Crematorio 1. Si tratta di uno strano posto per vivere e finora i funzionari competenti non hanno mai scritto niente di preciso su questo edificio, o sul Sonderkommando che si presume fosse alloggiato al secondo piano del Crematorio 1. In nessuno dei modellini che abbiamo esaminato c’è alcuna traccia del fatto che il secondo piano del crematorio avesse degli alloggi. In realtà, tali modellini indicano la presenza di un attico. Perché questo silenzio totale [su Nyiszli]? Possiamo supporre tre ragioni:
Il personaggio è fittizio.
Il personaggio è reale ma non ha mai avuto niente a che fare con le autopsie e non ha mai messo piede in un crematorio. A giudicare dai suoi scritti quest’ipotesi sembra decisamente possibile.
Il personaggio è reale. La ragione per la quale non si dice qualcosa di più su di lui è che egli era coinvolto con i “bravi compagni”, come vengono nominati nel libro edito da Smolen. Poiché egli faceva parte dei “bravi compagni” è meglio non collegarlo ad essi perché questo coinvolgerebbe i “bravi compagni” nella menzogna.
Langbein riferisce che Nyiszli doveva testimoniare al processo [dei guardiani] di Auschwitz ma Nyiszli non poté essere presente poiché era morto un anno prima in Romania. Ma Rassinier ha mostrato che a quel tempo Nyiszli era già morto diverse volte.[8] Questo fantasma ha la straordinaria capacità di risorgere a volontà.[9]
Un certo Filip Müller ha testimoniato al processo [di Francoforte] di aver conosciuto due patologi ungheresi, uno dei quali era Nyiszli. La testimonianza di Müller è presa quasi completamente dal racconto di Nyiszli. La descrizione di come il veleno veniva somministrato è quella di Nyiszli. La descrizione dell’autopsia è adattata anch’essa in base al racconto di Nyiszli[10], insieme a tutto il resto. Il fatto curioso è che Müller e due altri “testimoni” giunsero da Praga per testimoniare al processo. Gli altri due erano Fabian e Farber. E’ chiaro che tutti e tre vennero attentamente istruiti su quello che dovevano dire a Francoforte.[11] Müller è quasi totalmente inascoltato nelle pubblicazioni del Museo di Auschwitz. Il suo curriculum non è meno misterioso di quello di Nyiszli. E’ su tali personaggi incerti che Broszat, Hilberg e Langbein ripongono la loro fiducia.
Considerando che c’è così poco di realmente sicuro su Nyiszli e su quello che scrive, qual è allora la verità vera su questo personaggio? Non potrebbe darsi che siamo stati ingannati e che sotto c’è tutt’altra verità? Non potrebbe darsi che all’origine il racconto in questione era una descrizione di un campo di concentramento sovietico? Questo racconto è stato scoperto dai sovietici e la storia potrebbe essere stata cambiata per mettere in cattiva luce i tedeschi e in tal modo Auschwitz e Birkenau sarebbero state fatte entrare a forza nel racconto (e questo spiegherebbe il labirinto di contraddizioni e confusioni). Non potrebbe darsi che Nyiszli fosse un ex prigioniero sovietico caduto nelle mani dei comunisti e che abbia scritto una storia sulla sua esperienza in un campo sovietico? Egli fuggì dal campo, forse liberato dai tedeschi, poi andò a lavorare volontario in Germania, ma poi rimase preso ancora una volta nelle grinfie sovietiche. Egli venne così costretto a riscrivere il suo racconto originario per accondiscendere agli imbrogli della propaganda comunista/sionista. Dopo che il suo libro venne ultimato – non c’è dubbio che i suoi aguzzini lo abbiano riveduto e corretto – i comunisti lo eliminarono con un colpo alla nuca, o lo fecero sparire in un altro campo della morte dove venne lasciato morire, e questo spiegherebbe il fatto che nessuno riesce a rintracciarlo. Vi sono migliaia di Nyiszli nei campi sovietici che sono altrettanto misteriosi: citiamo soltanto il cazaro svedese R. Wallenberg. E per quanto riguarda le opere letterarie alterate o manipolate da costoro basti citare Pery Broad e J. P. Kremer. Per i sionisti/comunisti il fatto di alterare e manipolare le opere letterarie è ordinaria amministrazione.
Altri due esempi storici possono meglio illustrare questo punto. Uno è quello di Margarete Buber, la quale scrisse
Sotto due dittatori (London, 1950). Ella era una donna tedesco-cazara che aveva sperimentato per diversi anni le condizioni brutalmente primitive di un campo di prigionia sovietico, prima di essere inviata a Ravensbrück nell’Agosto del 1940. Ella osservò che era la sola cazara nel suo contingente di deportate dall’Unione Sovietica che non era stata immediatamente rilasciata dalla Gestapo. Il suo libro presenta un forte contrasto tra i campi di concentramento sovietici e tedeschi; rispetto alla desolazione, al disordine e alla fame del campo russo, ella trovò che Ravensbrück era pulito, civile e ben amministrato. Docce regolari e biancheria pulita le sembrarono un lusso dopo le sue esperienze precedenti, e il suo primo pasto costituito da pane bianco, salsiccia, porridge dolce e frutta secca la spinsero a chiedere a un’altra detenuta se la data del 3 Agosto 1940 costituiva una qualche vacanza o un’occasione speciale. Ella osservò, anche, che le baracche a Ravensbrück erano notevolmente spaziose rispetto alle capanne fangose del campo sovietico. Nei mesi finali del 1945, ella sperimentò il declino progressivo delle condizioni del campo ma questo era dovuto alla situazione complessivamente catastrofica di tutta la Germania.
Un altro resoconto è quello di Charlotte Bormann, Die Gestapo Lässt Bitten (La Gestapo vi cerca). Ella era una prigioniera politica comunista che era stata anch’essa internata a Ravensbrück. Ella rivela che i rumori concernenti le esecuzioni tramite gas erano invenzioni deliberate e maligne che venivano fatte circolare tra i prigionieri da parte dei comunisti. Questi ultimi non accettavano Margarete Buber a causa del suo imprigionamento in Unione Sovietica. Un dato sconvolgente riguardante i processi del dopo-guerra è che a Charlotte Bormann non venne permesso di testimoniare al processo dei guardiani del campo di Ravensbrück, tenutosi a Rastadt, nella zona di occupazione francese. Questo è il destino abituale per coloro che hanno negato la Leggenda dello Sterminio.[12] Forse il caso di Nyiszli può essere in qualche modo spiegato così.
Questo potrebbe spiegare il silenzio dei comunisti su quest’uomo. Ci viene detto che Nyiszli andò negli Stati Uniti nell’estate del 1939, e rimase lì fino al Febbraio del 1940, come membro della delegazione rumena della fiera universale. Il piano di Nyiszli era quello di portare con sé la sua famiglia e di stabilirsi in America. Quando la guerra scoppiò dovette ritornare in patria (p. 55). Questo semplice fatto poteva renderlo agli occhi dei comunisti come nient’altro che un capitalista e non è improbabile che in seguito i comunisti lo abbiano utilizzato per poi sbarazzarsene. Egli poteva aver saputo troppe cose, come quelli che sapevano troppo su Katyn. Tutte queste descrizioni, nel racconto di Nyiszli, di colpi alla nuca sono tipiche dello stile sovietico. Questa era una specialità sovietica. Anche molti polacchi vennero eliminati in questo modo quando la Polonia venne “liberata”.
Perciò Nyiszli può effettivamente essere stato in un campo della morte sovietico. Non potrebbe darsi che l’affermazione di Nyiszli sul “potente vento delle steppe della Volinia” sia nata dalla sua detenzione in un campo sovietico (p. 99)? Certamente parlare del “vento delle steppe della Volinia” ad Auschwitz non ha molto senso ma lo avrebbe se il campo descritto fosse sovietico. Nei libri di Alexander Solzhenitsyn vengono mostrate delle mappe che mostrano località sovietiche riferite ai campi della morte, la maggior parte dei quali sono ancora operativi.[13] Alcuni di essi si trovano nella zona, o nei pressi, delle steppe della Volinia.
Qui dunque, può trovarsi una parte del mistero. Il racconto potrebbe essere stato all’inizio una descrizione di un campo di sterminio sovietico, che in seguito venne modificato dai propagandisti sovietico/sionisti per illustrare un campo tedesco, e questo spiega tutti gli errori madornali.

[1] Traduzione di Andrea Carancini
[2] Dr. Miklos Nyiszli, Auschwitz: A Doctor’s Eye-witness Account [Auschwitz: la testimonianza oculare di un dottore], Tradotto da Tibere Kremer e Richard Seaver, con una prefazione di Bruno Bettelheim e un’introduzione di Richard Seaver, Frogmore, St. Albans, 1978, 158 pagine.
[3] Arthur Butz, The Hoax of the Twentieth Century [L’imbroglio del ventesimo secolo], Richmond, Surrey, 1976, p. 117; Paul Rassinier, Debunking the Genocide Myth, Torrance, California, 1978, pp. 244-250.
[4] Dino A. Brugioni & Robert Poirier, The Holocaust Revisited: a Retrospective Analysis of the Auschwitz-Birkenau Extermination Complex, Central Intelligence Agency, Washington, 1979, p. 11.
[5] Kazimierz Smolen, editore, From the History of KL Auschwitz, vol. 2, Panstwowe Muzeum W Oswiecimiu, 1976, p. 57.
[6] Ivi, pp. 85-86.
[7] Ivi, pp. 63, 86, 75.
[8] Paul Rassinier, op. cit., pp. 249-250.
[9] Hermann Langbein, Der Auschwitz-Prozess: Eine Documentation, Wien, 1965, p. 87.
[10] Miklos Nyiszli, op. cit., p. 131.
[11] Hermann Langbein, op. cit., p. 499.
[12] Richard Harwood, Did Six Million Really Die?: The Truth At Last, Richmond, Surrey, 1974, p. 20.
[13] Alexander Solzhenitsyn, The Gulag Archipelago 1918-1956, tre volumi, New York, 1975-78.

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